ALLA RICERCA DI TERINA di Paolo Orsi

Paolo ORSI, Scavi e scoperte calabresi nel decennio 1911-1921, Tipografia della Real Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1922

“Uno dei più agitati problemi di topografia archeologica della Calabria, non ancora risoluto, è quello del sito dell’antica Terina. A prescindere dai vecchi scrittori, dei moderni autorevolissimi ne trattarono il Lenormant ed il Pais, che ebbero però il torto di non accedere sui luoghi, mentre la esatta conoscenza dei luoghi è in siffatte indagini altrettanto utile di quella dei testi antichi. La quasi totalità dei vecchi scrittori, e con essi il Lenormant, collocano Terina intorno a Sant’Eufemia Vecchia; il Pais, pur con molte riserve e compromessi, a Tiriolo. Ma né l’uno né l’altro dei due eminenti scrittori hanno battuto il terreno intorno a Sant’Eufemia Vecchia, ed il Lenormant, che pur lo descrive bene, se vi fosse stato non sarebbe incorso nel grave equivoco di dire inghiottita dal mare nel 1838 la storica abbazia normanna di Sant’Eufemia, mentre esistono di essa tuttora.
Ho fatto due lunghe ricognizioni sui terreni fra San Biase ed il mare; una prima nel maggio 1914, una seconda nel maggio successivo, e questa coll’accompagnamento di alcuni operai siracusani, esperti di scavi, e che distribuii in pattuglie esploratrici. Non essendomi consentito per ragioni di spazio di diffondermi in una descrizione del terreno, dirò che a chi voglia farsene una sufficiente idea a tavolino giova molto per la lettura del terreno il foglio 241 della eccellente carta militare d’Italia al 50 metri.
In essa vedesi la fiumara Bagni, che uscita dalla stretta montana ha invaso col suo letto di piena tutto il declinante piano, ed oggi ancora, davanti la collinetta di Sant’Eufemia Vecchia, ha la larghezza di poco meno di un chilometro. Il letto non contenuto da argini, le enormi masse di alluvione scaricate da secoli, il loro lentissimo deflusso a mare hanno messo e continuano a mettere la campagna alla mercé del torrente, sollevando di parecchi m. il livello antico, e turbandone profondamente l’antica facies; in queste brevi pagine, ben guardandomi da aprire una discussione storico-topografica, mi limiterò a riferire le osservazioni fatte sul terreno.
Sant’Eufemia Vecchia: è un villaggetto abbandonato da oltre un secolo causa la malaria; esso sorge sopra un rilievo del suolo, e nel suo aspetto attuale lo si direbbe seicentesco. Nelle vecchie case disabitate ho notato grossi conci, tolti da fabbriche certamente greche. Davanti la chiesetta 4 colonne antiche in granito ed in marmo derivano forse dall’abbazia normanna omonima. La pila battesimale è un piccolo sarcofago marmoreo (metri 1,29 x 0,36); nel prospetto un putto sorregge due grandi encarpi, nei cui vani due bei mascheroni di Medusa triste; e negli angoli piccole vittorie sul globo: età imperiale del sec. III circa. Nel declive nord della collina ho notato molto cocciame antico. Era qui l’acropoli di Terina, su questa collinetta, unica emergente dal suolo pianeggiante? Il terreno a sud di essa porta ancora il nome di Terravecchia, indizio di antico abitato. Fu precisamente qui, nel solco profondo inciso nel suolo da un rigagnolo, che nel 1865 si scoprì il celebre tesoro detto, senza ragione, di Agatocle, per la presenza di numerosi aurei di quel principe, in gran parte finiti nel crogiolo; si dice vi fosse una corazza d’oro a squame e molti gioielli, porzione dei quali passarono al Museo Britannico.
L’abbazia benedettina di Sant’Eufemia Vecchia: non è gran fatto discosta dal villaggetto omonimo; fondata nel 1062, crollò definitivamente nel 1638; il Lenormant (Grand Grece III, 97) la dà per inghiottita dal mare, da cui dista oggi un chilometro e mezzo; ma in realtà ne esistono imponenti ruine, che ho replicate volte visitate e meriterebbero uno studio. Da quasi tre secoli disgraziatamente esse sono sfruttate come cava di pietre, di mattoni, e soprattutto di marmi, di cui erano assai ricche. L’abbazia aveva anche una cinta fortificata con torri. L’ultimo colpo ai gloriosi avanzi venne dato dai costruttori della linea ferroviaria Catanzaro – Sant’Eufemia, che li sfruttarono bestialmente. Un dato per noi di eccezionale importanza, al fine della nostra ricerca, è questo, che il documento di fondazione dell’abbazia la dice eretta nel sito di una vetus civitas, di cui si era perduto il nome, e che non potrebbe essere altro che Terina.
Tabelletta testamentaria greca: Nell’escursione del 1914 fui cosi fortunato da porre le mani sopra un brano di tabelletta in rame scritta, rinvenuta, dicevasi, ma a torto, in un sepolcro di tegole della regione immediatamente prossima a Sant’Eufemia Vecchia. Questo prezioso brano epigrafico, degnamente illustrato dal senatore D. Comparetti, contiene i resti di un testamento della fine del sec. IV a. C. che il chiarissimo illustratore non esitò ad attribuire ad un cittadino facoltoso di Terina, sebbene il nome della città non figuri nella tabeIla. Ed io aderisco pienamente alle vedute del Comparetti, perché il testamento trovato tra questi ruderi di un edificio (non di un sepolcro) non può derivare che da una città greca di riguardo, per la quale ricorre spontaneo il nome di Terina. Di fianco a Sant’Eufemia Vecchia vi è la bella terrazza detta Elemosina, assai adatta a sede di una città; essa è lambita a levante dalla fiumara Bagni, la quale erodendo l’antico terrazzo alluvionale si è aperto un varco, con una parete a picco, che da metri 3 arriva quasi a 10 di altezza.

La spianata di Elemosina, oggi tutta messa a colture intensive, mi ha fatto vedere alla superficie pezzi di tegolami e di pithoi, ma nessun resto dì fabbriche. Ma chi può djrci cosa contenga il sottosuolo? Sta il fatto che la lamina scritta deriva dalle campagne di Terravecchia-Elemosina, e che in contrada Elemosina si rinvenne anni addietro un grande sarcofago di sfaldature granitiche, faticosamente lavorate, di cui produco, attesa la sua peculiarità, il disegno.

Mi si è detto contenesse solo ossa, ma la notizia è incontrollabile. La contrada Elemosina domina e sovrasta quella di Terravecchia, dove è pure notizia di sepolcri. Due grandi vasi greci figurati sarebbero stati individuati molti anni addietro da un inglese.

Le Terme di San Biase: ubicate dove la fiumara esce dalla gola dei monti, furono conosciute anche nell’antichità per i loro effetti salutari […]. Visitando quelle terme, ho indagato se mai vi fossero avvenute scoperte archeologiche; ma appresi soltanto di vasetti e monete disperse, troppo poco per dare un giudizio qualsiasi. E poiché la terma è in esercizio da secoli, e necessariamente ha subito nei fabbricati molte trasformazioni, non è a stupire che ogni resto antico sia scomparso.
Per chiudere questa relazione, riferisco ora di una quantità di piccole scoperte fatte nelle mie ricognizioni attraverso la campagna Terinese. Nel fondo Pasquale De Medici in contrada Zupello si trovarono abbondanti ruderi con pavimenti in mattoni ed in coccio pesto; vidi sul luogo una colonna. Al lato meridionale di detto podere segnalai tracce di sepp. Romani di età imperiale, come di lucerne e monete in essi contenute e da me viste. Intorno ai ruderi della chiesetta di Santa Trara, con tutta probabilità bizantina, eravi un sepolcreto con tombe di mattonacci, molti dei quali segnati della strana figura di una lisca o ramo secco; esse hanno dato perle di ambra e di vetro e perciò le giudici bizantine.

Sulla destra della fiumara la contrada Celsito (cioè Querceto, a NordOvest di Sant’Eufemia Vecchia) prende nome da una bella macchia di querce, che vi sussisteva sino a pochi anni addietro. Oggi tutto il terreno è stato smacchiato e ridotto a colture; appresi della scoperta di numerose tombe di tegole, contenenti poveri vasellami. Vi sono poi i ruderi di un’altra minuscola chiesetta forse bizantina. Attorno alla fattoria Franzì, sempre nella stessa contrada, si intensificarono le notizie di scoperte sepolcrali; tali tombe erano fatte di cassoni tufacei ed altre di tegole. Il corredo di piccolo vasellame, copioso, a vernice nera o con qualche figure rosse, con qualche immaginetta fittile, fu spedito a Roma ad un amatore e denota una necropoli ellenistica. Nella attigua contrada San Sidero (cioè San Isidoro) grandi fabbriche di laterizi, tra cui una circolare, distrutta per trarne materiale; copiosi ruderi mi furono segnalati anche nelle contrade Paracocchio e Palazzi, attigue a San Sidero, nelle proprietà fratelli Tropea; sono ruine molto deteriorate di età romana e dell’alto medioevo, e gli eruditi locali quivi collocano il grande monastero di San Costantino ( i cui resti sono riconoscibili al Piano delli Palazzi), i cui beni formarono in promiscuità l’abbazia di San Sidero, dipendente da quella di Sant’Eufemia Vecchia, a più tardi la baronia di San Sidero. Voglio ora concludere circa i risultati di questa minuziosa e faticosa periegesi.

La fiumara Bagni in circa 20 secoli di libero deflusso ha purtroppo alterata profondamente la facies del terreno classico. Se qui sulla destra del fiume venne a trovarsi Terina, essa era in una posizione militarmente assai debole; le sue mura devono essere state costruite in gran parte, come quelle di Caulonia, con materiale torrentizio. La costruzione della imponente abbazia di Sant’Eufemia (si ricordi che i normanni erano maestri nello sfruttamento delle ruine antiche), i continui rifacimenti da essa subiti attraverso quasi sei secoli, contribuirono alla distruzione di quasi tutti i ruderi allora in vista. La esistenza di ruderi di una veteris civitatis quivi esistenti nel sec. XI, e di una vastità impressionante, se vennero ricordati nel documento di fondazione, ha certo il suo peso in aggiunta alle altre prove. Il tesoro di Sant’Eufemia Vecchia, la laminetta testamentaria e la necropoli Franzì sono documenti di prim’ordine ad attestare la presenza di una ragguardevole città greca. Tutta la campagna è poi costellata di segni della vita romana e bizantina. A tirare la somma, io sono di avviso che molte e gravi ragioni militino a favore di Terina-Sant’Eufemia Vecchia, sebbene molto ancora si debba attendere per averne la prova definitiva.”


Paolo Orsi

Nato a Rovereto, tra il 1869 e il 1877 frequentò l’Imperial Regio Ginnasio di Rovereto. Nel 1875, ancora sedicenne, come assistente di archeologia ed entomologia, entra a far parte della Società Museo Civico della sua città, mentre nel 1880 diverrà conservatore per la Sezione Archeologica e Numismatica, carica mantenuta sino alla sua morte. Nel 1877 intraprese gli studi umanistici presso l’Università di Padova, alla Facoltà di Lettere. Fra il 1878 e il 1879 si trasferì a Vienna per seguire corsi di storia antica e archeologia. Nel 1881 frequenta anche il corso di paleontologia all’Università di Roma, seguendo le lezioni di Luigi Pigorini. Nel 1882 si laurea in lettere a Padova. Nel 1884 chiede e ottiene la cittadinanza italiana. Dopo un breve periodo di insegnamento al liceo di Alatri in provincia di Roma, entrò nella direzione generale delle antichità e delle belle arti di Roma e, tra il 1885 e il 1888, lavora come vice-bibliotecario alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, mentre dal 1888 inizia la sua carriera in Sicilia, presso il Museo Archeologico di Siracusa.

Prime ricerche

L’attività di ricerca di Paolo Orsi inizia già nella seconda metà degli anni settanta dell’Ottocento ed è orientata soprattutto verso l’antichità classica e la numismatica. Fortunato Zeni, uno dei fondatori del Museo civico di Rovereto, è il suo primo ispiratore e maestro. Presso lo stesso museo e presso la Biblioteca civica Girolamo Tartarotti di Rovereto si conservano i suoi primi appunti, che riportano meticolosamente tutte le prime esplorazioni e i suoi studi. Il suo primo lavoro, dedicato alle iscrizioni di epoca romana del Trentino, viene pubblicato quando aveva solo 19 anni.
Le sue prime ricerche sul campo si svolsero tra il 1881 e il 1883 in Trentino. Dopo gli studi romani con il professor Pigorini, Orsi inizia a dedicarsi soprattutto alla paletnologia e i suoi primi scavi, con i quali introduce i primi concetti di stratigrafia archeologica anche in regione, riguardano tre siti preistorici, da lui individuati grazie ad approfondite e capillari ricerche di superficie. Si tratta della Grotta del Colombo di Mori (età del Bronzo Antico), della Busa dell’Adamo di Lizzana (Mesolitico-Neolitico) e di Castel Tierno di Mori (età del Bronzo). A tali interventi fecero prontamente seguito anche le relative pubblicazioni degli scavi.

Lavori in Sicilia e in Calabria

Non avendo superato il concorso per la cattedra di archeologia all’Università di Roma, rimase nei ruoli della pubblica amministrazione, vincendo poi il concorso di ispettore di III classe degli scavi e dei Musei a Siracusa, dove venne inviato nel 1888 sotto la direzione dell’ormai anziano Francesco Saverio Cavallari. Qui, il territorio era sostanzialmente inesplorato e Orsi, forte delle esperienze acquisite, iniziò le sue indagini archeologiche fin dal 1889. Si dedicò allo studio della preistoria con attenzione ai luoghi e alle origini dei Sicani, dei Siculi e degli Itali nonché ai centri dell’età del Bronzo, fra cui Thapsos, e delle colonie greche, quali Naxos e Megara Hyblaea sulle quali uscì una sua monografia nel 1890 edita dalla Reale Accademia dei Lincei. Negli stessi anni eseguì delle ricerche in Calabria, in particolare a Locri, affiancando il direttore dell’Istituto Germanico di Roma Eugen Petersen e portando in luce il tempio di contrada Marasà e il gruppo marmoreo dei Dioscuri (in esposizione ora presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria).
Nel 1891 subentrò al Cavallari nella direzione del Museo archeologico di Siracusa, dove si dedicò ad ampliare le sale e a incrementare le collezioni, oltre che all’inventario dei materiali posseduti.
Nel lavoro sui monti Iblei e la relativa valle che porta al mare, nel ragusano, scoprì (assieme al suo assistente Biagio Pace) templi, necropoli, mura, palazzi, monete presso Pantalica, Melilli, Stentinello, Castelluccio, Plemmirio, Cozzo Pantano, Thapsos, Branco Grande e Cassibile. Proseguì inoltre lo studio di Megara Hyblaea e le ricerche a Naxos. Esplorò quindi i vari complessi catacombali e le chiese bizantine, cristiane e giudaiche, fornendo una particolare interpretazione dell’architettura della Basilica di San Foca di Priolo. Nel 1896 avviò lo scavo di Camarina, nel 1889 avviò le indagini su Akrai, identificando Eloro, indi riportò alla luce l’antica città di Casmene. Si interessò anche di Terravecchia presso Grammichele (1890) e Ibla (1892).
Commissario del Museo Nazionale di Napoli per un breve periodo (1900 – 1901), lasciando però un’impronta indelebile. Infatti, gettò le basi per il riordinamento globale dell’Istituto (realizzato poi dal successivo direttore Ettore Pais), individuando dieci grandi raccolte di materiali. Proseguì quindi le ricerche su Camarina, poi Gela, pubblicando relativi saggi fra il 1904 e il 1906. Individuò il centro indigeno di Monte San Mauro a Caltagirone, quindi compì ulteriori scavi su Monte Bubbonia a Mazzarino, presso Centuripe e Licodia Eubea.
socio dell’Accademia nazionale dei Lincei.

Nel 1907 ricevette l’incarico di organizzare la Soprintendenza alle antichità della Calabria con sede a Reggio Calabria nonché contribuì alla nascita del grande Museo Nazionale della Magna Grecia; in particolare, lavorò a Reggio, a Locri, a Crotone, a Sibari, a San Giorgio Morgeto e a Rosarno, dove continuò lo studio sulla Magna Grecia. Scoprì città, un tempio ionico, antiche mura e i siti di Medma, Krimisa e Kaulon. Scavò per diversi anni a Monteleone di Calabria (l’attuale Vibo Valentia). Nel 1908 individuò il Persephoneion a Locri, dove eseguì ulteriori indagini nei dintorni. Promosse anche l’apertura di un locale museo civico nel 1914. Tra il 1917 e il 1921 scavò a Megara Hyblaea e in quegli anni identificò Morgantina.

Fu tra i fondatori della Società Italiana di Archeologia nel 1909. Nel 1920 fondò, con Umberto Zanotti Bianco, la “Società Magna Grecia” destinata a raccogliere fondi per gli scavi, e grazie ai quali poté scoprire un tempio ionico a Hipponion ed esplorare una necropoli a Torre Galli. Nel 1931, Orsi e Zanotti Bianco fondarono la rivista «Archivio storico per la Calabria e la Lucania».
Taccuino di lavoro N. 149 di Paolo Orsi, datato 1º giugno 1931 (scavi di Sant’Angelo Muxaro)
Nel 1907 a seguito del regio decreto che istituiva le Soprintendenze ebbe formalizzata la nomina a Soprintendente per la Sicilia Orientale con sede a Siracusa e competente per le attuali province di Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Catania e dal 1915 anche Messina. L’incarico fu reiterato nel 1923: con Regio Decreto gli venne affidata la direzione della Sovrintendenza alle antichità di Siracusa. Mantenne il doppio incarico anche in Calabria fino alla nomina di un nuovo Soprintendente per la Calabria nel 1924, indi si concentrò nell’attività in Sicilia, rifiutando anche la nomina ad una cattedra universitaria. Sempre nel 1924 fu nominato, su proposta di Ettore Tolomei, senatore del Regno d’Italia adoperandosi in favore dell’archeologia e della ricerca di fondi.

Scrisse oltre 300 lavori di fondamentale importanza, che lo portarono a vincere il Gran Premio di Archeologia dell’Accademia dei Lincei. La sua bibliografia fu ricca di opere e di temi, dalla preistoria all’età medievale, con grande attenzione alla Sicilia Orientale e alla Calabria, oltreché al territorio di Rovereto, delle Alpi e dell’Alto Adige.

Restò anche dopo il pensionamento a lavorare a Siracusa, per l’ordinamento del museo aretuseo che oggi porta il suo nome, fin quando, nel 1932, l’incarico alla Sovrintendenza passò a Giuseppe Cultrera. Lasciò Siracusa nell’autunno del 1934, per tornare a Rovereto dove morì l’8 novembre del 1935.

Elenco degli scavi e delle scoperte

1881-1883

Colombo a Mori, la Busa dell’Adamo e Castel Tierno nel Trentino;

1889

Akrai e Eloro

1890

Terravecchia di Grammichele

1892

Ibla

1893

Naxos

1896

Camarina

1900-1905

Gela

1902

Licodia Eubea

1903-1905

Monte San Mauro (Caltagirone)

1905

Branco Grande

1904-1906

Monte Bubbonia (Mazzarino)

1906-1908

Camarina (necropoli di Passo Marinaro)

1908

Locri (Persephoreion)

1910

Crotone (Calabria)

1910-1915

Messina

1912

Identificazione di Hipponion e Medma (Calabria)

1913-1915

Kaulonia (Calabria)

1916-1917

Catania

1917-1921

Megara Hyblaea

1928

Lipari, necropoli di contrada Diana

1928-1930

Monte Casale (Casmene)

1929

Piazza Armerina

1930

Leontinoi

1931-1932

Sant’Angelo Muxaro

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