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La fauna italiana è l’insieme delle specie animali viventi allo stato selvatico all’interno del territorio italiano. In base ai dati forniti dall’Annuario Dati Ambientali ISPRA[1] (aggiornato al 2018), la fauna italiana comprende circa 58 022 specie – includendo anche 1 812 specie di protozoi, che, per la vicinanza filogenetica al regno animale, vengono considerati parte integrante della fauna –, in tutto equivalente a più di un terzo dell’intera fauna europea[2], portando così l’Italia al primo posto in Europa per biodiversità.
Il gruppo più rappresentato è quello degli invertebrati (54 952 specie, quasi il 95%), costituito essenzialmente dal phylum degli artropodi (46 403 specie, circa l’80% della fauna italiana), dominato a sua volta dalla classe degli insetti.
I vertebrati costituiscono invece solo il 2,2% (1 258 specie), con: 127 specie di mammiferi, 473 di uccelli, 52 di rettili, 38 di anfibi e 568 di pesci[1].
La checklist delle specie della fauna d’Italia include 4 777 specie animali endemiche, che equivalgono all’8,6% del totale[2].
Indice
- 1Le ragioni della biodiversità
- 2Ecoregioni
- 3Vertebrati
- 4Invertebrati
- 5Fauna marina
- 6Specie aliene e introdotte
- 7Fauna del Pleistocene
- 8Conservazione
- 9Note
- 10Bibliografia
- 11Voci correlate
- 12Altri progetti
- 13Collegamenti esterni
Le ragioni della biodiversità
L’Italia presenta il maggiore livello di biodiversità in Europa, con oltre 58.000 specie segnalate: si tratta di più di un terzo dell’intera fauna europea.
Questo è dovuto principalmente a:
- Posizione geografica: l’Italia è uno dei paesi più meridionali d’Europa, ed è circondata dal mare su tre lati. Presenta 8 000 chilometri di coste e la sua posizione al centro del mar Mediterraneo la rende un corridoio tra l’Europa centrale, il sud Europa e il Nordafrica. Le specie presenti sul territorio italiano, inoltre, provengono anche dai Balcani, dall’Eurasia e dal Medio Oriente. L’avifauna italiana risente positivamente anche della vicinanza con l’Africa, mentre la penisola e le isole (anche attraverso il ponte Corsica-Sardegna) sono un punto di passaggio fondamentale per gli uccelli migratori, che in alcuni casi possono diventare stanziali, come, per esempio, i fenicotteri.
- Variegata struttura geologica del territorio.
- Presenza di alte catene montuose, soprattutto le Alpi e gli Appennini.
- Diversità di clima e di habitat: un arco alpino molto ampio al Nord con ambienti glaciali e foreste di conifere, boschi e fiumi al centro, gariga e macchia mediterranea al Sud.
- Notevole diversità di specie botaniche (9 000 specie: almeno la metà del totale europeo, di cui numerose però introdotte dall’uomo sin da epoche protostoriche, come ulivo, cipresso, pino marittimo, pino d’Aleppo, castagno, vite, ecc.).
L’86% della fauna italiana è terrestre e il 14% acquatico. Gli insetti rappresentano circa i due terzi dell’intera fauna.
Va rimarcato, poi, che l’Italia risente della presenza umana, che ha determinato sia l’estinzione di alcune specie in epoca storica o tardo-preistorica (uro, bisonte, leone euroasiatico, prolago sardo, ecc.; talvolta, con estinzioni locali e poi ritorni da aree vicine, come nei casi della lince e dello sciacallo) sia l’introduzione di specie animali e vegetali, dapprima da tutto il bacino euro-mediterraneo e dall’Oriente (già in epoca classica romana e preromana, come la carpa, il coniglio selvatico iberico, il daino, ecc.; molto maggiore fu il carico di specie vegetali naturalizzate) e, poi, nell’età moderna e nel Novecento, da tutto il mondo. In molti casi, le specie introdotte si sono adattate senza creare eccessivi disturbi agli animali nativi (come i fagiani e gli altri uccelli da cacciagione introdotti nel Cinquecento) o con danni minimi (ad esempio, il persico sole), altre, invece, si sono rivelate invasive e dannose per la fauna autoctona, che tendono a sostituire (come lo scoiattolo grigio americano a danno dello scoiattolo rosso e il gambero della Louisiana ai danni del gambero di fiume). Inoltre, buona parte delle specie selvatiche italiane, soprattutto quelle di mammiferi di taglia medio-grande, devono la loro sopravvivenza ed esistenza all’intervento dell’uomo avvenuto nel corso del tempo, in particolare all’attività venatoria medievale, che contribuì a selezionare, incrociare, diffondere o ridurre la presenza di alcuni animali. L’estinzione di alcune specie preistoriche, come il cavallo selvatico (Equus ferus) e l’asino selvatico (Equus hydruntinus), sono state localmente rimpiazzate dal rinselvatichimento di cavalli (talvolta, anche in areali in cui le specie selvatiche non esistevano, come i cavalli di Giara) e di asini.
Ecoregioni
La maggior parte del territorio italiano è compreso nel bacino del Mediterraneo. Importanti ecoregioni terrestri includono: la tundra e la foresta di conifere sulle Alpi, la foresta decidua illirica, le foreste semi-decidue e a sclerofille italiane, le foreste miste dell’Appennino meridionale, le foreste a sclerofille e miste tirreniche e adriatiche, le foreste decidue appenniniche, le foreste miste dinariche e le foreste miste del bacino del Po. Ci sono inoltre molti sistemi di grotte, importanti per la biodiversità.
Vertebrati
Mammiferi
Lo stesso argomento in dettaglio: Mammiferi in Italia.
La fauna è costituita soprattutto da animali tipici delle montagne, delle pianure e della macchia mediterranea. Animali diffusi ovunque in Italia sono i mustelidi: la donnola, il tasso, l’ermellino (solo sull’Arco Alpino), la faina, la puzzola e la martora; discorso diverso va fatto per la lontra: essa è stata sterminata in gran parte del paese ed è, oggi, presente stabilmente in Basilicata, Calabria, Campania e Puglia, ma sta tornando a ripopolare anche i corsi d’acqua dell’Abruzzo e del Molise. I felidi sono rappresentati dal gatto selvatico europeo, presente stabilmente nell’area centro-meridionale e con avvistamenti sporadici al nord, e dalla lince eurasiatica: essa era un tempo presente in tutta la penisola, ma col tempo venne sterminata ovunque; oggi sta tornando a ripopolare le Alpi orientali grazie alle popolazioni austriache e slovene. Inoltre, sembra stia tornando ad abitare le foreste appenniniche, con avvistamenti certificati che finora si sono verificati solo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. I canidi in Italia sono abbastanza diffusi: la volpe rossa, ad esempio, è molto comune in Italia; il lupo, invece, venne quasi sterminato, ma a partire dal 1970 i pochi esemplari rimasti sono tornati a colonizzare le montagne e, da allora, l’Appennino presenta popolazioni di lupo stabili anche grazie alla presenza dei vari parchi nazionali. L’animale sta però tornando a popolare anche le Alpi italiane; il suo isolamento, nel corso dei millenni, ha portato alla genesi di una sottospecie a sé stante, endemica della penisola italiana, il lupo appenninico. L’altro canide presente in Italia è lo sciacallo dorato, animale non autoctono, tipico dell’area balcanica, che negli ultimi anni si è spinto in Italia dalla vicina Slovenia e che sta gradualmente espandendo il suo areale verso sud. Si crede che l’orso bruno fosse un tempo diffuso su tutta la penisola, ma oggi ne sopravvivono pochi esemplari: una buona popolazione che si sposta dal Trentino-Alto Adige alle altre aree del nord grazie a progetti europei di reintroduzione e una popolazione isolata in Abruzzo dell’orso marsicano, sottospecie a sé stante dell’orso bruno ed autoctona dell’Italia centro-meridionale, in forte rischio di estinzione. Tra gli ungulati sono diffusi: il cervo nobile, il capriolo, presente anche con una sottospecie endemica, il capriolo italico, tipica della Toscana, ma è stato introdotto in altre aree, come il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, il parco nazionale del Gran Sasso, il Gargano, la tenuta di Castelporziano e in Calabria, il daino, il camoscio alpino, il muflone (in Sardegna), lo stambecco delle Alpi e il camoscio appenninico nel parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Sono diffusissimi i cinghiali. Alcune specie hanno recentemente passato i confini italiani entrando in Italia, un esempio è quello della genetta, animale africano presente anche in Spagna e Francia, ed è proprio da quest’ultimo paese che la genetta è arrivata in Italia per la prima volta, col primo avvistamento avvenuto nel 2008 nel parco naturale regionale delle Alpi liguri; un altro animale che ha seguito il metodo della genetta è il castoro europeo, che si estinse in Italia nel Seicento a causa della caccia indiscriminata per fabbricare pellicce e cappelli.
A novembre 2018 c’è stato il primo avvistamento di castoro sul suolo italiano dopo più di 400 anni, nel comune di Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia; si pensa che il castoro abbia raggiunto nuovamente l’Italia dalla vicina popolazione austriaca. Inoltre, sono presenti moltissimi animali tipici dei boschi e delle montagne, come molte sottospecie di lepre, la talpa romana, la marmotta, lo scoiattolo europeo, l’istrice, il riccio europeo, il moscardino, il topo quercino, il ghiro e l’arvicola.
Specie alloctone
A parte lo sciacallo dorato e la genetta comune, che hanno raggiunto il nostro paese naturalmente, ci sono molti altri animali che sono stati introdotti in Italia dall’uomo per svariate ragioni, che possono variare dalla caccia all’industria delle pellicce. Caso particolare è quello del procione, liberato dall’esercito statunitense nella Francia settentrionale nel 1966: da allora, l’animale ha iniziato a guadagnare sempre più terreno arrivando fino in Italia settentrionale, dove, ad oggi, sono in atto progetti di bonifica volti ad eliminare alcune popolazioni. La nutria e il visone americano furono invece importati come animali da pelliccia; successivamente alcuni esemplari fuggirono e formarono branchi in giro per l’Italia. La nutria, ad esempio, è considerata uno degli animali più invasivi al mondo e dal nord è arrivata fino alla Sicilia; similmente, si sono formati branchi di visoni in giro per il paese, alcuni dei quali autonomi anche dal punto di vista riproduttivo. L’ammotrago è stato introdotto in Italia, come è successo anche negli Stati Uniti ed in Messico, per ragioni venatorie, mentre animali come il tamia siberiano, lo scoiattolo grigio, lo scoiattolo di Pallas e lo scoiattolo di Finalyson furono introdotti come animali da compagnia oppure nei parchi cittadini, sfuggendo poi al controllo umano e determinando una forte competizione con lo scoiattolo autoctono.
Mammalia
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I mammiferi (Mammalia Linnaeus, 1758) sono una classe di vertebrati a diffusione cosmopolita caratterizzata dall’allattamento della prole.
La classe dei mammiferi conta 5 500[1] specie attualmente viventi, variabili in forma e dimensioni: dai pochi centimetri e due grammi di peso del mustiolo agli oltre 30 metri e 150 tonnellate della balenottera azzurra, il più grande mammifero finora apparso sulla Terra. I mammiferi colonizzano praticamente ogni ambiente, dalle calotte glaciali ai caldi deserti: alcuni gruppi (sirenii, pinnipedi, cetacei) sono riusciti a colonizzare con successo anche l’ambiente acquatico, mentre altri hanno sviluppato delle ali membranacee e sono perciò in grado di volare (chirotteri).
Nonostante tali differenze di dimensioni e abitudini di vita, tutti i mammiferi sono accomunati dall’essere omeotermi ovvero endotermi, dal presentare viviparità (con l’eccezione dei monotremi, che sono ovipari) e dall’avere cure parentali che prevedono anche l’allattamento della prole: tutti fattori che sono stati determinanti per consentire a questa classe di espandere notevolmente il proprio areale nelle nicchie rimaste vuote dopo la scomparsa dei dinosauri.
Indice
- 1Origini ed evoluzione
- 2Tassonomia
- 3Caratteristiche
- 4Distribuzione
- 5Percezione sensoriale
- 6Alimentazione
- 7Comunicazione
- 8Stile di vita
- 9Riproduzione
- 10I mammiferi e l’uomo
- 11Note
- 12Bibliografia
- 13Voci correlate
- 14Altri progetti
- 15Collegamenti esterni
Origini ed evoluzione
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi sono un gruppo monofiletico, ossia tutte le specie attualmente viventi discendono da un antenato comune: anche i tre gruppi in cui vengono tradizionalmente suddivisi i mammiferi (vale a dire monotremi, marsupiali e placentati) sono monofiletici, con gli ultimi due classificati insieme dalla maggior parte degli studiosi per differenziarli dal primo.
I Sinapsidi
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi si svilupparono a partire da un gruppo di Amnioti. I primi amnioti apparvero intorno al tardo Carbonifero, da rettiliomorfi ancestrali. In pochi milioni di anni, da essi si distinsero due importanti linee evolutive: i Sauropsidi, dai quali discesero i rettili e da essi gli uccelli, e i Sinapsidi, considerati i progenitori dei Mammiferi[2]. La tecnica dell’orologio molecolare ha consentito di datare la separazione tra i due raggruppamenti a circa 310 milioni di anni.[3]
I Sinapsidi, vissuti durante il Permiano, sono animali caratterizzati dalla presenza di una singola finestra temporale su ciascun lato del capo, posta nei pressi dell’attaccatura dei muscoli della mascella, (a differenza dei diapsidi, che possiedono due finestre temporali per ogni lato del capo, e degli anapsidi, del tutto sprovvisti di finestre temporali). La finestra temporale, con il tempo, si è rimpicciolita fino quasi a chiudersi: la sua esistenza è testimoniata attualmente dalla presenza nel cranio dei mammiferi dello zigomo.
Proprio da alcuni sinapsidi primitivi (come Archaeothyris) si sviluppò un ramo, quello degli Sfenacodonti, che condusse fino ai probabili precursori dei mammiferi, i Terapsidi, più specificatamente gli Eucinodonti, vissuti circa 220 milioni di anni fa, nel Triassico.[4]
Con l’evoluzione la finestra temporale dei sinapsidi aumentò di dimensioni. Nei Cinodonti era già molto più estesa rispetto, ad esempio, ai Pelicosauri. La postura eretta fu adottata verso la metà del Permiano dai terapsidi, assieme al secondo palato (ad esempio i Terocefali avevano entrambe queste caratteristiche) e il pelo, che a differenza delle penne degli uccelli non si è evoluto a partire dalle squame rettiliane, ma che probabilmente ne è stato un annesso.
Gli organi uditivi iniziarono a evolversi nella forma attuale probabilmente all’inizio del Triassico, in seguito alla trasformazione della mascella in un osso unico[5] (animali come sinapsidi e terapsidi avevano tre ossa nella mascella, così come i rettili attuali). Infatti, le due ossa residue della mascella iniziarono a rimpicciolirsi e, pur restando nella loro sede originaria, iniziarono a essere utilizzate per captare suoni (un esempio è il Probainognathus), per poi (sicuramente nell’Hadrocodium, probabilmente già in Morganucodon) unirsi all’unico osso dell’orecchio per formare gli attuali martello, incudine e staffa.
I primi mammiferi
[modifica | modifica wikitesto]Il titolo di mammifero più antico è conteso da vari animali, in quanto la sua attribuzione varia a seconda della parte anatomica presa in considerazione: alcuni studiosi valutano la struttura del canale auricolare per definire la fine della transizione da rettile a mammifero, mentre altri ritengono più attendibile la costituzione e l’articolazione della mandibola o la struttura dei denti.
Fra le specie annoverabili fra i primi mammiferi, vengono generalmente incluse le seguenti:
- Megazostrodon e in generale i Morganucodonta di cui esso faceva parte, vissuti fra la fine del Triassico e il medio Giurassico, dalle abitudini quasi sicuramente notturne; in base ai resti fossili, si può dedurre che questi animali avessero sangue caldo, e che forse possedevano anche una pelliccia e le ghiandole mammarie. Anche i molari presentavano tre cuspidi, come gli attuali mammiferi. In ogni caso, l’articolazione mandibolare era doppia invece che singola, ma la principale differenza sta nel fatto che il Megazostrodon deponeva uova simili a quelle dei rettili, con guscio di consistenza simile a quella del cuoio.
- Adelobasileus cromptoni, anch’esso del tardo Triassico, vissuto in quello che è l’attuale Texas; la morfologia dell’orecchio interno fa chiaramente capire che questo animale rappresenta almeno uno stadio di transizione fra i Cynodontia e i mammiferi veri e propri.
- Sinoconodon, di cui vari resti fossili ben conservati sono stati ritrovati in Cina; vissuto nel Giurassico, esso mostra conformazione della mandibola assai simile a quella dei mammiferi attuali, anche se altre caratteristiche (come la crescita continua delle ossa craniche durante la vita dell’animale, e il rimpiazzo continuo dei denti caduti) avvicinano maggiormente questa specie ai rettili.
- Haldanodon e Docodon, facenti parte dei Docodonta, animali vissuti fra il medio Giurassico e l’inizio del Cretaceo, mentre rimane in dubbio la loro presenza in periodi più tardi (Reigitherium): essi erano dotati di molari allargati e dentizione simile a quella dei mammiferi, ma anche di articolazione mandibolare rettiliana.
- Hadrocodium wui, i cui resti sono stati ritrovati in Cina in giacimenti datati al tardo Giurassico, è un animale probabilmente imparentato alla lontana con i mammiferi, ma provvisto di caratteristiche chiave come una mandibola evoluta e un cervello di grosse dimensioni.
La maggior parte dei primi mammiferi (come Megazostrodon, ma anche altre specie come Morganucodon, Adelobasileus, Eozostrodon, Sinoconodon, Hadrocodium e Fruitafossor) avevano dimensioni e comportamento simili a quelli dei toporagni (Hadrocodium probabilmente non superava i 2 g di peso da vivo): significative eccezioni sono rappresentate da Steropodon, Kollikodon, Repenomamus e Castorocauda, che presentavano dimensioni superiori al mezzo metro di lunghezza.
Per le caratteristiche intermedie fra mammiferi e rettili, alcuni studiosi classificano tutte queste forme di transizione nel clado dei Mammaliaformes.
Nel corso del Mesozoico i mammiferi si svilupparono in una quantità di forme e adattamenti per ambienti diversi, ma mantennero comunque un piano corporeo basilare e di solito le loro dimensioni erano ridotte, di rado superando quelle di un attuale ratto. Già nel Giurassico esistevano molti gruppi primitivi, come i sopracitati docodonti, i simmetrodonti (Symmetrodonta), i triconodonti (Triconodonta) e i driolestidi (Dryolestidae), tutti riconoscibili in base al tipo di dentatura e alla forma dei denti; tutti i gruppi sopracitati si estinsero però nell’arco di alcuni milioni di anni.
Tra i gruppi attuali, i primi a differenziarsi dovettero essere con molta probabilità i monotremi, mammiferi eccezionalmente primitivi: i resti fossili più antichi riconducibili a questi animali, tuttavia, risalgono solo a circa 120 milioni di anni fa (Cretaceo superiore). Alla stessa epoca sembrano risalire anche i marsupiali e i placentati, il che vuol dire che i monotremi si sono staccati precocemente dalla linea evolutiva principale dei mammiferi, seguendo un proprio percorso indipendente, piuttosto che essersi evoluti in seguito negli attuali marsupiali e placentati come spesso si è portati a credere.
Un altro gruppo primitivo, quello dei multitubercolati, comprendeva animali simili a scoiattoli e topi: la loro comparsa è riconducibile perlomeno al Giurassico medio (circa 160 milioni di anni fa), mentre la loro sparizione avvenne durante l’Oligocene (30 milioni di anni fa); rappresentano quindi il più longevo gruppo di mammiferi. Alcuni studiosi sostengono che i multitubercolati (come l’intero superordine – o sottoclasse, a seconda della classificazione – degli Allotheria) non siano in realtà dei mammiferi veri e propri, ma un ramo collaterale di cinodonti che, per evoluzione convergente, ha sviluppato forme simili a essi.
Dopo i dinosauri
[modifica | modifica wikitesto]Paleocene
[modifica | modifica wikitesto]Dopo l’estinzione di massa del Cretaceo, avvenuta 65,7 milioni di anni fa, i mammiferi diedero luogo, per un fenomeno di radiazione adattativa, a una rapidissima diversificazione di forme e dimensioni, per andare a riempire le nicchie rimaste vuote: per tutto il Paleocene, tuttavia, i piccoli mammiferi continuarono a dominare la scena. È il caso, ad esempio, di Palaeoryctes (simile agli attuali soricomorfi) e Carpolestes (un primate primitivo). Le eccezioni, in ogni caso, non mancavano: i pantodonti, ad esempio, erano un gruppo che comprendeva anche forme lunghe due metri, come Barylambda. Si ritiene che le piccole dimensioni non siano state una forzatura imposta dalla presenza dei dinosauri (o che almeno questa non ne sia l’unica causa), quanto piuttosto una necessità dovuta alla mancanza di sistemi di termoregolazione e metabolismo ancora non del tutto evoluti e pertanto inefficienti.
Eocene
[modifica | modifica wikitesto]Nel corso dell’Eocene si sviluppò un gran numero di mammiferi primitivi, che non hanno però lasciato discendenti nella fauna attuale: tra questi gruppi, da citare i teniodonti e i tillodonti, che potevano raggiungere le dimensioni di un orso ma con musi che li facevano assomigliare a giganteschi roditori, i creodonti e gli acreodi (carnivori dall’enorme cranio), i dinocerati (simili a rinoceronti mostruosi, come Uintatherium) e i pantolesti, strani animali simili a lontre comprendenti anche forme velenose. Tutti questi “esperimenti”, tuttavia, si estinsero presto, mentre iniziarono a svilupparsi i primi rappresentanti degli ordini che hanno resistito fino ai giorni nostri, tra cui i chirotteri (Icaronycteris) e i cetacei (Indohyus, Basilosaurus). Intanto, in Sudamerica e Australia, gigantesche isole separate dal resto dei continenti, cominciarono a svilupparsi faune endemiche; in Australia i marsupiali e i monotremi, in Sudamerica i marsupiali e alcuni placentati primitivi, come xenartri e meridiungulati.
Oligocene
[modifica | modifica wikitesto]L’inizio dell’Oligocene vede il progressivo diradarsi delle foreste su tutto il pianeta, e la comparsa di forme di mammiferi gigantesche: a questo periodo risale il Paraceratherium, il più grande mammifero terrestre mai esistito, lontano parente degli attuali rinoceronti. Alcuni gruppi attuali iniziarono a prosperare, dando vita a forme bizzarre: è il caso degli artiodattili (come Archaeotherium simile a un gigantesco maiale corridore) e dei perissodattili (con i brontoteri, dal corno a Y, e gli ancilopodi, dotati di artigli e di un muso da cavallo), ma anche dei carnivori (con le famiglie dei nimravidi e degli anficionidi).
Miocene
[modifica | modifica wikitesto]Il culmine della diversificazione dei mammiferi si ebbe durante il Miocene, il periodo in cui le faune iniziarono a essere molto simili a quelle attuali; l’avvento delle praterie, inoltre, portò alla progressiva scomparsa di animali dall’habitat forestale ma favorì l’enorme sviluppo degli artiodattili e degli equidi. Nel corso di questo periodo ebbero un grande successo anche le scimmie antropomorfe (Proconsul), da alcune delle quali si svilupparono i primi ominidi. Alla fine del periodo, nei continenti settentrionali si estinsero gli ultimi ordini aberranti (Desmostylia), mentre in Sudamerica i mammiferi endemici continuarono a prosperare, dando vita a forme specializzate (Astrapotheria, Litopterna, Notoungulata). L’Australia, invece, fu teatro di una grande radiazione di marsupiali.
Pliocene
[modifica | modifica wikitesto]L’inizio del Pliocene (circa 5 milioni di anni fa) portò un considerevole abbassamento delle temperature e la conseguente estinzione di molte specie di mammiferi adattati al clima caldo, in un preludio alle successive glaciazioni. In Africa si svilupparono gli australopitechi, vicini all’origine dell’uomo.
Pleistocene
[modifica | modifica wikitesto]Il Pleistocene vide la comparsa e il veloce sviluppo del genere umano, ma anche una drastica riduzione della megafauna sviluppatasi nel corso del periodo. Tra i più tipici esempi di questa fauna di mammiferi giganti, da ricordare i mammut, il rinoceronte lanoso, il cervo gigante Megaloceros, il leone delle caverne, l’orso delle caverne, il vombato gigante Diprotodon e il canguro gigante Procoptodon. Alla fine del Pleistocene (fra i 50 000 e i 10 000 anni fa, anche se in Australia il processo avvenne fra i 51 000 e i 38 000 anni fa e in Sud America fra gli 11 000 e gli 8 000 anni fa), si calcola che praticamente tutti i mammiferi di peso superiore alla tonnellata si estinsero, così come sparì l’80% delle specie di peso superiore al quintale: questa estinzione di massa toccò però solo superficialmente il continente africano e il Sud-est Asiatico.
Questo avvenne perché i cambiamenti climatici, che culminarono nelle ere glaciali, ebbero come conseguenza nell’immediato la formazione di habitat del tutto nuovi, che la maggior parte dei mammiferi non riuscì a colonizzare in tempo, andando incontro all’estinzione: altri mammiferi, più veloci a riprodursi e adattarsi ai cambiamenti, ampliarono invece enormemente la propria diffusione, complice la sparizione di molti accaniti concorrenti.
Un altro fattore che probabilmente portò numerose specie all’estinzione fu la presenza umana: l’estinzione di numerose specie, infatti, sembrerebbe coincidere con l’arrivo di esseri umani nella zona, i quali cacciando indiscriminatamente questi animali a ritmi superiori al tasso riproduttivo ne provocarono un rapido crollo. A favore dell’ipotesi che vede le estinzioni di massa collegate all’arrivo dell’uomo, vi sono gli esempi delle isole colonizzate solo in tempi recenti, come il Madagascar, nel quale l’arrivo dell’uomo è coinciso con l’estinzione di tutti i grandi lemuri. Questa ipotesi, tuttavia, può essere ritenuta valida nel caso di ambienti circoscritti e non eccessivamente estesi, come appunto l’isola malgascia, mentre risulta piuttosto arduo credere che la presenza di pochi uomini muniti di armi rudimentali abbia potuto da sola determinare un’estinzione di massa, tanto più che in Africa, culla dell’umanità (e pertanto, secondo l’ipotesi dell’estinzione per mano umana, la terra che più di altre avrebbe dovuto subire i danni apportati dall’uomo primitivo), tale estinzione non vi è addirittura stata.
Con tutta probabilità, l’uomo diede solo il colpo di grazia a specie già sull’orlo dell’estinzione a causa dei mutamenti climatici: l’estinzione di alcune specie alterò ulteriormente l’ecosistema, provocando effetti domino con esiti disastrosi.
Tassonomia
[modifica | modifica wikitesto]La monofilia della classe Mammalia diviene meno scontata man mano che si cerca di risalire lungo la scala evolutiva, per individuare i primi rappresentanti di questi animali: gli unici resti che pervengono agli studiosi sono infatti principalmente frammenti della mandibola e denti, in base alla morfologia dei quali è stata impostata la sistematica dei mammiferi ancestrali. Ciò vuol dire che anche altri animali che hanno evoluto dentizione simile a quella dei mammiferi potrebbero essere stati classificati come tali, pertanto gli studiosi sono molto cauti sull’attribuzione di ogni singola specie a determinati taxa assimilabili ai mammiferi.
Generalmente, è dato per scontato che i mammiferi siano divisi in tre sottoclassi (Monotremi, Marsupiali e Placentati), oppure due sottoclassi (Prototeri, ossia i monotremi, e Teri, ossia marsupiali e placentati), per un totale di ordini che oscilla, a seconda della classificazione utilizzata, fra i 25 e i 30.
Il tentativo di Simpson
[modifica | modifica wikitesto]Il primo tentativo di fare una classificazione completa dei mammiferi fu fatto da George Gaylord Simpson nel 1945 prendendo spunto dalle presupposte affinità fra le famiglie animali diffuse all’epoca. Su questa classificazione sono infuriate molte polemiche non ancora sopite, soprattutto dopo l’avvento della nuova concezione della cladistica. Nonostante l’opera di Simpson sia uscita progressivamente di scena con l’avvento delle nuove teorie, ha ancora un grande valore per la classificazione dei mammiferi.
Classificazione standard
[modifica | modifica wikitesto]Nei libri di mammologia viene adottato un sistema standardizzato di classificazione dei mammiferi:
Classe Mammalia
- Sottoclasse Prototheria (mammiferi che depongono uova: monotremi)
- Sottoclasse Theria (mammiferi che partoriscono piccoli vivi)
- Infraclasse Metatheria (marsupiali)
- Infraclasse Eutheria (placentati)
Nonostante i nomi Prototheria, Metatheria ed Eutheria siano stati privati di validità (presuppongono il concetto che i placentati derivino dai marsupiali, che a loro volta discenderebbero dai monotremi), questa sistematizzazione è utilizzata dalla maggior parte dei testi scolastici e universitari, oltre che in paleontologia (specialmente nell’ambito degli animali del Mesozoico).
McKenna & Bell
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1997 due studiosi, Malcolm McKenna e Susan Bell, utilizzarono le sistematiche precedenti e le relazioni fra i vari gruppi di mammiferi (viventi ed estinti) per realizzare una nuova classificazione della classe, basata su una gerarchia fra i vari taxon.
La nuova classificazione (detta McKenna/Bell) fu accettata da larga parte dei paleontologi, poiché rifletteva fedelmente il percorso storico dei mammiferi. Tale classificazione comprende sia generi estinti che ancora viventi; inoltre vengono introdotti i nuovi ranghi di legione e sublegione, posizionati fra classe e ordine.
I gruppi estinti sono contrassegnati da una croce (†).
Classe Mammalia
- Sottoclasse Prototheria: monotremi: echidne e ornitorinco
- Sottoclasse Theriiformes: mammiferi che partoriscono piccoli, e loro parenti estinti
- Infraclasse †Allotheria: multitubercolati
- Infraclasse †Triconodonta: triconodonti
- Infraclasse Holotheria: mammiferi moderni che partoriscono piccoli, e loro parenti estinti
- Supercoorte Theria: mammiferi che partoriscono piccoli
- Coorte Marsupialia: marsupiali
- Magnordine Australidelphia: marsupiali australiani e Dromiciops
- Magnordine Ameridelphia: marsupiali del Nuovo Mondo
- Coorte Placentalia: placentali
- Magnordine Xenarthra: armadilli, bradipi, formichieri
- Magnordine Epitheria: epiteri
- Grandordine Anagalida: lagomorfi, roditori e toporagni elefante
- Grandordine Ferae: carnivori, pangolini, †creodonti, e parenti estinti
- Grandordine Lipotyphla: insettivori
- Grandordine Archonta: pipistrelli, primati, colughi e tupaie
- Grandordine Ungulata: ungulati
- Ordine Tubulidentata incertae sedis: oritteropo
- Ordine †Bibymalagasia incertae sedis
- Mirordine Eparctocyona: †condilartri, cetacei e artiodattili (ungulati con dita pari)
- Mirordine †Meridiungulata: ungulati sudamericani
- Mirordine Altungulata: perissodattili (ungulati con dita dispari), elefanti, sirenii e iraci
- Coorte Marsupialia: marsupiali
- Supercoorte Theria: mammiferi che partoriscono piccoli
Classificazione molecolare dei Placentati
[modifica | modifica wikitesto]Recenti studi basati sull’analisi del DNA, specialmente tramite l’analisi dei retrotrasposoni, hanno rivelato nuove parentele inaspettate fra le varie famiglie animali. Tali parentele non hanno ancora trovato dimostrazione a livello fossile, quindi non ci sono ancora prove tangibili che corroborino queste nuove ipotesi.
Secondo i risultati delle analisi, il primo gruppo a divergere dai placentati del Cretaceo fu quello degli Afrotheria, 110-100 milioni di anni fa. Gli Afrotheria continuarono a evolversi nell’isolamento del continente Afro-arabico; nel frattempo (100-95 milioni di anni fa) gli Xenarthra sudamericani si staccarono dai Boreoeutheria. Secondo un’osservazione recente, gli Afrotheria e gli Xenarthra sono strettamente collegati fra loro, tanto da formare un gruppo (Atlantogenata) parallelo a Boreoeutheria. Questi ultimi si divisero in Laurasiatheria ed Euarchontoglires 95-85 milioni di anni fa; entrambi questi gruppi vivevano nel supercontinente della Laurasia.
Dopo la collisione dell’Africa–Arabia con l’Eurasia, vi fu un rimescolamento di Afrotheria e Boreoeutheria: con la comparsa dell’Istmo di Panama, inoltre, facilitò il grande scambio americano.
Questa nuova classificazione manca di prove morfologiche e quindi non è accettata da alcuni scienziati, tuttavia l’analisi della presenza dei retrotrasponsoni suggerisce che l’ipotesi degli Epitheria (che propone gli Xenarthra come primo gruppo a differenziarsi) potrebbe essere vera.
Supergruppo Atlantogenata
- Gruppo I: Afrotheria
- Afroinsectiphilia
- Ordine Macroscelidea
- Ordine Afrosoricida
- Ordine Tubulidentata
- Paenungulata
- Ordine Hyracoidea
- Ordine Proboscidea
- Ordine Sirenia
- Afroinsectiphilia
- Gruppo II: Xenarthra
- Ordine Xenarthra
Supergruppo Boreoeutheria
- Gruppo III: Euarchontoglires (o Supraprimates)
- Superordine Euarchonta
- Ordine Scandentia
- Ordine Dermoptera
- Ordine Primates
- Superordine Glires
- Ordine Lagomorpha
- Ordine Rodentia
- Superordine Euarchonta
- Gruppo IV: Laurasiatheria
- Superordine Pholidota
- Ordine Carnivora
- Ordine Insectivora
- Ordine Chiroptera
- Ordine Cetartiodactyla
- Ordine Perissodactyla
- Superordine Pholidota
Classificazione comune
[modifica | modifica wikitesto]Lo stesso argomento in dettaglio: Classificazione dei mammiferi.
Per le voci di Wikipedia è stata adottata la seguente classificazione:
Caratteristiche
[modifica | modifica wikitesto]Lo stesso argomento in dettaglio: Anatomia dei mammiferi.
I Mammiferi sono dotati di varie caratteristiche comuni che consentono di separarli dalle altre classi di vertebrati:
Pelliccia
[modifica | modifica wikitesto]La presenza di pelo è una delle caratteristiche più importanti dei mammiferi: la maggioranza dei mammiferi, infatti, ha il corpo ricoperto per percentuali più o meno elevate di pelo, e anche coloro i quali ne sono apparentemente sprovvisti (come i cetacei) presentano allo stadio embrionale degli accenni di crescita di pelo, che regrediscono poi con il procedere della gravidanza.
I peli dei mammiferi hanno composizione prevalentemente proteica: in particolare essi sono costituiti per la quasi totalità da cheratina. Il pelo nei mammiferi ha numerose funzioni:
- prima di tutto serve a regolare la temperatura corporea, modificando la perdita di calore e proteggendo perciò l’animale dal freddo come dal caldo eccessivo;[5]
- molti mammiferi, inoltre, possiedono manti di colori mimetici, allo scopo di confondersi con l’ambiente circostante, sia per meglio avvicinarsi alle prede senza esser visti (come ad esempio la tigre), che per non esser scorti da eventuali predatori (come molti cervidi). Alcuni mammiferi (come la lepre variabile o la volpe artica), per meglio mimetizzarsi nei vari periodi dell’anno, mutano il pelo lasciando il posto a un manto di colore diverso, che meglio si adatta al colore del terreno in quella stagione;
- per altri mammiferi, la colorazione del pelo ha invece lo scopo di intimorire o avvisare eventuali aggressori della pericolosità dell’animale, come avviene ad esempio nelle moffette. Fra i mammiferi esistono praticamente tutte le sfumature di colore, ma non è mai esistito un mammifero dal pelo verde o blu: fanno eccezione i bradipi didattili (nei quali il verde della pelliccia è dato dalla presenza di un’alga simbionte) e alcune specie di antilopi e primati, nei quali il colore blu si rivela in realtà una sfumatura di grigio;
- in molte specie di mammiferi, la lunghezza o la colorazione del pelo è diversa nei due sessi (dimorfismo sessuale), allo scopo di attrarre i rappresentanti dell’altro sesso: è il caso, ad esempio, dei maschi del leone o dell’uomo
- i peli, opportunamente collegati a muscoli erettili, rappresentano dei forti messaggeri visivi: ad esempio, un gatto dai peli rizzati segnala chiaramente nervosismo e aggressività, mentre un’antilocapra che rizza i peli bianchi del posteriore invita esplicitamente i propri simili alla fuga;
- in molti mammiferi, i peli (sotto forma di vibrisse), collegati a meccanorecettori e fibre nervose, fungono anche da organi tattili;
- in qualche specie (come nel riccio o nell’istrice) i peli sono modificati a formare delle spine, che proteggono efficacemente l’animale da potenziali predatori;
- i peli presenti nel naso e nelle orecchie, così come le ciglia, proteggono invece gli organi di senso e quelli respiratori dall’intrusione di corpi estranei.
A fianco al pelo, i mammiferi hanno evoluto delle ghiandole sebacee, le quali sono preposte alla secrezione del sebo, una sostanza grassa che serve a lubrificare il pelame.
Allattamento
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi sono gli unici animali ad allattare la propria prole almeno fino a quando questa non è in grado di nutrirsi di cibo solido in modo autonomo. Il latte è prodotto in apposite ghiandole dette ghiandole mammarie, organizzate negli euteri in mammelle, dalle quali prende il nome l’intera classe.
Le mammelle consistono in complessi ghiandolari con sbocco esterno (capezzolo) al quale il piccolo può aggrapparsi durante la suzione: fanno eccezione i monotremi, in cui le ghiandole mammarie sfociano all’esterno tramite un poro e perciò il latte è un essudato che viene leccato dai piccoli. Ciascuna specie ha un numero diverso di capezzoli, in funzione del numero medio di cuccioli partoriti per nidiata: nei primati e negli equidi, per esempio, vi sono solo due capezzoli, mentre i tenrec ne possiedono fino a due dozzine.
L’allattamento rappresenta un grande vantaggio, in quanto i piccoli possono ricevere una sostanza molto nutriente e senza grandi sforzi, che garantisce una crescita veloce e una maggiore probabilità di sopravvivenza: d’altro canto, la femmina spende grandi energie per allattare i cuccioli ed è perciò costretta a nutrirsi più del necessario per integrare le energie profuse in questo sforzo.
Le femmine generalmente allattano unicamente i propri cuccioli, scacciando anche violentemente altri piccoli in cerca di cibo: fanno eccezione poche specie in cui si possono osservare delle balie, come i leoni e l’uomo.
Dentizione (o dentatura)
[modifica | modifica wikitesto]A differenza dei loro progenitori rettili che avevano una dentatura laterale semplice, i mammiferi sono solitamente provvisti di dentatura eteromorfa, con presenza di quattro tipi di denti:
- incisivi, atti a strappare;
- canini, atti a infilzare;
- premolari, con caratteristiche intermedie fra canini e molari;
- molari, atti a schiacciare e macinare.
Ciascuno di questi quattro tipi di dente è presente in numero variabile a seconda delle abitudini alimentari della specie.
Presso la maggioranza delle specie di mammiferi, si ha un unico cambiamento della dentizione (difiodontia), quando la dentatura decidua (i cosiddetti “denti da latte”) viene sostituita dalla dentatura permanente. Alcuni gruppi di mammiferi possiedono denti privi di radici e a crescita costante: è il caso delle zanne di elefanti, suidi, trichechi e narvali, o degli incisivi dei roditori.
I monotremi, invece, non possiedono affatto denti nella fase adulta, mentre i cuccioli possiedono il cosiddetto “dente di diamante”, che analogamente agli uccelli consente loro di bucare il guscio dell’uovo in cui si trovano. I mammiferi marsupiali presentano dentizione differente rispetto ai placentati: i marsupiali primitivi avevano una formula dentaria pari a 5/4-1/1-3/3-4/4, pari cioè a cinquanta denti, mentre le forme attuali hanno un numero di denti variabile, ma compreso fra i 40 e i 50, ossia in numero maggiore rispetto alla maggior parte dei placentati.
I primi placentati avevano formula dentaria pari a 3/3-1/1-4/4-3/3, per un totale di 44 denti: tale formula si ritrova attualmente solo in alcuni animali (come il cinghiale), mentre nella maggior parte degli altri mammiferi si è avuta una specializzazione alimentare che ha portato alla riduzione del numero dei denti, fino addirittura alla totale sparizione di questi ultimi (è il caso degli sdentati). Solo in pochi casi il numero dei denti è aumentato rispetto alla formula originaria: è il caso dell’armadillo gigante, provvisto di un centinaio di denti, o dei cetacei odontoceti, nei quali si è avuto un ritorno all’omomorfia (denti tutti uguali, come nei rettili) e si possono contare fino a 270 denti.
Muso
[modifica | modifica wikitesto]La presenza di meccanismi complessi di interazione fra i vari individui hanno portato a una modifica importante della muscolatura facciale dei mammiferi: in tutte le specie, infatti, presentano, o hanno presentato durante il corso del proprio percorso evolutivo, delle labbra e delle guance, che vanno a formare una fascia muscolare che circonda l’apertura della bocca.
Le labbra, le guance e lo spazio che le separa dalla chiostra dentaria (il cosiddetto vestibulum oris) sono legate essenzialmente alla ricerca del cibo: già a partire dalla nascita, l’animale contraendo in maniera sincrona i muscoli labiali e guanciali provoca la diminuzione della pressione nel proprio vestibulum oris, la quale permette la suzione del latte materno.
In età adulta, la faccia diventa un essenziale mezzo di comunicazione fra i vari individui della stessa specie, e spesso, tramite messaggi universali, anche fra animali di specie diverse.
Struttura auricolare
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi, oltre a essere gli unici animali dotati di un orecchio esterno con funzione di incanalare i suoni, sono anche gli unici animali a possedere la famosa “triade” martello/incudine/staffa, situati nell’orecchio medio e con funzione di ricevere le vibrazioni del timpano e inoltrarle alla finestra ovale dell’orecchio interno.
Tali ossa derivano da una modifica dell’arco branchiale a livello embrionale: la staffa proviene dall’osso iomandibolare, mentre l’incudine e il martello provengono dall’osso quadrato in combinazione con la cartilagine di Meckel. Negli altri vertebrati, tali strutture vanno a formare l’articolazione mandibolare, che nei mammiferi è invece composta dagli ossi dentale e squamoso, mentre la mandibola va ad articolarsi direttamente al cranio.
Circolazione sanguigna
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi, così come anche gli uccelli, hanno una circolazione sanguigna doppia completa: ciò significa che il cuore è suddiviso in quattro scomparti ben distinti (a eccezione del feto, dove ha una separazione incompleta con presenza di un forame ovale), due atri e due ventricoli, e che il sangue passa due volte al suo interno, una volta nella parte destra sotto forma di sangue venoso da pompare verso i polmoni per essere ossigenato, e una seconda volta nella parte sinistra sotto forma di sangue arterioso da pompare verso le zone periferiche del corpo. I globuli rossi dei mammiferi, tuttavia, a differenza di quelli degli altri vertebrati sono sprovvisti di nucleo e di organelli, pertanto vengono continuamente prodotti dagli organi ematopoietici.
Locomozione
[modifica | modifica wikitesto]Gli arti dei mammiferi sono attaccati al di sotto del corpo, e non lateralmente rispetto a esso (come accade ad esempio nei rettili): pertanto, durante il movimento dell’animale gli arti si trovano disposti perpendicolarmente alla colonna vertebrale, che viene piegata verticalmente piuttosto che lateralmente. Questa caratteristica permette ai mammiferi movimenti veloci anche prolungati nel tempo, che consentono ai mammiferi azioni come la corsa (utile sia per cacciare le prede che per sfuggire ai predatori) o dei movimenti migratori.
Respirazione
[modifica | modifica wikitesto]Lo stesso argomento in dettaglio: Polmone § Polmone_dei_mammiferi.
La cavità toracica, grazie alla diversa attaccatura degli arti, perde la sua funzione motoria, potendo così dedicarsi a pieno alla funzione respiratoria: nei mammiferi si ha la comparsa del diaframma, una lamina muscolare che divide il torace dall’addome e contribuisce alla respirazione, in quanto contraendosi crea uno scompenso pressorio che spinge i polmoni a espandersi (inspirazione). I mammiferi possiedono polmoni a struttura alveolare, la quale ben si adatta a cambiamenti continui di volume.
Altre caratteristiche
[modifica | modifica wikitesto]- Tutti i mammiferi sono omeotermi, ovvero mantengono costante la propria temperatura corporea; caratteristica in comune con gli uccelli ma evolutasi in modo indipendente nei due gruppi;
- la maggior parte dei mammiferi possiede un palato secondario, che permette loro di respirare e contemporaneamente masticare il cibo: questo è possibile grazie all’epiglottide, che va a chiudere la laringe per evitare l’entrata di bolo alimentare nella trachea;
- il cervello dei mammiferi è formato da neocorteccia;
- i mammiferi possiedono ghiandole sudoripare finalizzate alla termoregolazione.
Distribuzione
[modifica | modifica wikitesto]Grazie alle loro caratteristiche di omeotermia ed endotermia, i mammiferi sono riusciti a colonizzare praticamente in qualsiasi habitat presente al mondo: mentre i monotremi sono limitati ad alcune aree di Australia e Nuova Guinea e i marsupiali si trovano unicamente in Oceania e nel continente americano, attualmente i mammiferi placentati sono diffusi in tutti i continenti e a tutti i climi, così come anche negli oceani, nei cieli, nel sottosuolo e nella maggior parte delle isole oceaniche.
Spesso l’espansione dei mammiferi placentati è avvenuta al seguito dell’uomo, tramite introduzione deliberata in nuove terre oppure grazie a introduzioni casuali, com’è avvenuto per esempio nel caso dei ratti. Le uniche aree in cui non vi è una presenza stabile di mammiferi sono le aree più interne dell’Antartide, abitate solo in alcuni periodi da un basso numero di studiosi.
Percezione sensoriale
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi possiedono tutti e cinque i sensi, ma raramente essi funzionano tutti in modo egregio: ad esempio, la talpa ha un udito finissimo (al punto di poter sentire i lombrichi quando spuntano dalle pareti della sua tana), mentre la sua vista è proverbialmente povera, non andando al di là della distinzione fra presenza e assenza di luce.
- La vista ha un ruolo secondario nella maggior parte dei mammiferi: in particolare, essa passa in secondo piano nelle specie dalle abitudini ipogee, dove gli occhi sono rimpiccioliti e in alcuni casi (come nelle talpe dorate) addirittura ricoperti di pelle. Generalmente, gli animali dalle abitudini notturne hannoocchi più grandi e spesso dotati di un tapetum lucidum, per ricevere quanta più luce possibile. I predatori hanno inoltre occhi puntati in avanti, per poter meglio calcolare le distanze, mentre gli animali erbivori tendono ad avere occhi posti lateralmente sul cranio, in modo tale da consentire un campo visivo quanto più ampio possibile.
- L’olfatto è ben sviluppato nella maggior parte dei mammiferi: oltre a localizzare eventuali prede in base al loro odore, infatti, molti animali utilizzano segnali olfattivi per mandare segnali territoriali (ad esempio urinando o rilasciando secreti ghiandolari nelle zone di confine per delimitare il territorio) o sessuali (ad esempio segnalando la propria ricettività con feromoni).
- L’udito è anch’esso un senso assai importante: molti mammiferi presentano padiglione auricolare mobile per captare suoni provenienti da ogni direzione. Una forma particolare di udito è rappresentata dall’ecolocazione, presente in un buon numero di specie di mammiferi ma particolarmente importante fra i chirotteri e gli odontoceti, che utilizzano onde sonore ad alta frequenza come un Sonar, captando le onde soniche riflesse (Eco) e orientandosi così anche in condizioni di oscurità totale.
- Il tatto è altrettanto utile per farsi un’idea dell’ambiente circostante: i meccanorecettori, sparsi un po’ su tutto il corpo, sono particolarmente abbondanti in alcune zone, come i polpastrelli dei primati od il naso di molti mammiferi quadrupedi. Molti animali possiedono inoltre le già citate vibrisse, anch’esse considerate organi tattili, mentre unici dei monotremi sono dei recettori elettrici siti nel becco, che percepiscono i movimenti muscolari delle prede nelle acque torbide.
Alimentazione
[modifica | modifica wikitesto]La necessità di mantenere la temperatura corporea stabile costringe i mammiferi a doversi nutrire regolarmente: a seconda delle dimensioni dell’organismo, il metabolismo può essere più o meno veloce consentendo all’animale di sopportare periodi più o meno lunghi di digiuno (ad esempio un toporagno muore dopo alcune ore di digiuno, mentre un uomo può sopravvivere anche alcune settimane senza cibo).
Tra i mammiferi vi è un’enorme varietà nella dieta: si trovano specie erbivore, carnivore e onnivore. La dieta di ciascuna specie può essere determinata in base alla lunghezza del tubo digerente e al numero e alla disposizione dei denti: mentre i carnivori hanno canini molto sviluppati e intestino piuttosto corto (per un veloce transito del cibo, ai fini di evitare l’insorgenza di intossicazioni dovute ai fenomeni putrefattivi della carne), gli animali erbivori possiedono una serie di adattamenti (intestino assai allungato, stomaco compartimentato come in ruminanti e canguri, cecotrofia -ossia assunzione dei propri escrementi per ridigerirli- come nei lagomorfi e in alcuni roditori) volti a estrarre la maggior quantità possibile di energia dal cibo.
Comunicazione
[modifica | modifica wikitesto]Tutti i mammiferi comunicano fra loro: la comunicazione può avvenire tramite segnali chimici, vocali (richiami), tattili (grooming) o visivi (posture e gesti).
Le specie più solitarie tendono ad avere un repertorio vocale e gestuale assai limitato: generalmente, è sempre presente un richiamo e una postura preposti a segnalare la disponibilità all’accoppiamento, così come un richiamo e una postura indicatori di minaccia nei confronti di intrusi.
Nelle specie più sociali sono presenti modelli di comportamento anche molto complessi, volti a stabilire e mantenere una gerarchia all’interno del gruppo e a segnalare ad altri animali sia degli eventi (presenza di cibo o di pericoli) che lo stato d’animo dell’animale che emette il suono (rabbia, paura, eccitazione, gioia).
Stile di vita
[modifica | modifica wikitesto]Visto il grande numero di specie di mammiferi esistenti e considerando la grande variabilità di forme e dimensioni presenti all’interno della classe, si può comprendere l’estrema eterogeneità delle abitudini di vita dei mammiferi: alcune specie sono solitarie, altre vivono in gruppi che contano anche un migliaio di individui. Alcuni mammiferi sono estremamente territoriali, mentre altri tollerano senza problemi la presenza di altri individui nelle vicinanze. Molte specie hanno abitudini notturne, mentre altre preferiscono essere attive durante il giorno: altre ancora presentano catemeria, ossia tendenza ad alternare periodi di veglia e di sonno durante le ventiquattro ore.
Le varie specie di mammifero hanno aspettative di vita anche assai differenti: generalmente, l’aspettativa di vita è direttamente proporzionale alle dimensioni dell’animale in valori assoluti. Mentre i topi marsupiali maschi vivono al massimo un anno, i grandi mammiferi possono vivere fino a un secolo: l’età massima mai riscontrata in un mammifero spetta a una donna, Jeanne Calment, vissuta 122 anni, ma è assai probabile che i grandi cetacei misticeti possano vivere anche più a lungo (l’età stimata di una balena della Groenlandia è di 211 anni).
Riproduzione
[modifica | modifica wikitesto]La maggioranza dei mammiferi praticano la poliginia o la promiscuità, ossia rispettivamente la costruzione di un harem da parte di un maschio oppure l’accoppiamento di ciascun esemplare con il maggior numero possibile di animali del sesso opposto: questo perché la femmina, una volta fecondata, necessita di un certo periodo per la gestazione e l’allattamento dei cuccioli, periodo durante il quale il maschio tenta invece di lasciare quanta più progenie possibile.
Conseguenza della poliginia sono le lotte fra maschi per il diritto all’accoppiamento, che nel tempo hanno dato origine a una serie di cerimoniali legati alla competizione e alla comparsa di caratteristiche anatomiche legate all’evento riproduttivo. In queste specie, è solitamente presente un dimorfismo sessuale spesso molto accentuato, con i maschi più grandi e forti delle femmine e spesso dotati di strutture accessorie a carattere sessuale, come la criniera del leone o le corna di molti artiodattili.
Solo il 3% di tutte le specie di mammifero presenta abitudini Monogame: in questi casi, il maschio e la femmina (che non di rado rimangono insieme anche al di fuori del periodo riproduttivo) sono soliti partecipare assieme alla cura dei cuccioli.
Alcune specie alternano i due comportamenti a seconda delle risorse a disposizione: quando il cibo è scarso viene praticata la monogamia, in modo tale da assicurare la sopravvivenza alla prole, seppure poca in termini numerici, mentre nei periodi di abbondanza viene praticata la promiscuità o la poliginia, sì da mettere al mondo quanta più prole possibile.
Rarissima è invece la poliandria, riscontrabile solo in alcune specie di callitricidi: in questi casi, è il maschio a occuparsi della prole. Altri mammiferi nei quali è il maschio a occuparsi dei cuccioli, delegando alla femmina solo l’allattamento, sono le scimmie platirrine dell’America centro-meridionale.
Un caso particolare è rappresentato dall’eterocefalo glabro, un roditore africano che presenta abitudini sociali simili a quelle di api e formiche: questi animali vivono infatti in grandi colonie sotterranee, costituite da una femmina “regina” attorniata da alcuni maschi “fuchi”, i quali sono gli unici a potersi accoppiare con la regina, mentre i rimanenti animali sono sterili e preposti allo svolgimento delle attività necessarie al mantenimento della colonia.
Modalità riproduttive
[modifica | modifica wikitesto]Nei monotremi è presente una cloaca nella quale convergono le due vie dell’apparato escretore (renale e intestinale), oltre che il canale riproduttivo. Il pene del maschio è unicamente proposto all’emissione dello sperma e presenta una biforcazione verso la punta.
Questi animali sono gli unici mammiferi a non presentare viviparità ma oviparità: la femmina emette infatti da uno a tre uova di circa un centimetro e mezzo di diametro, simili a quelle dei rettili, dotate di grande tuorlo. Le uova vengono covate dalla femmina per una decina di giorni, finché non si schiudono e ne fuoriescono i piccoli, che sono paragonabili ai marsupiali neonati in termini di sottosviluppo.
Nei marsupiali le femmine presentano sistema riproduttivo raddoppiato con due vagine e due uteri, mentre i maschi hanno un pene biforcato nella sua parte distale. La gestazione di questi animali dura al massimo un mese anche nelle specie di maggiori dimensioni, mentre in altre specie anche di meno: il record spetta alla specie Sminthopsis macroura, con soli 10-11 giorni di gestazione. La placenta è quasi sempre assente, fatta eccezione per alcune specie (come il koala e i bandicoot) dove si riscontra una sorta di placenta primitiva.
I nuovi nati sono assai piccoli e sottosviluppati, pesando circa l’1% rispetto alla madre: solo le zampe anteriori sono ben sviluppate, in quanto il piccolo le utilizza per farsi strada lungo il ventre della madre, fino a raggiungerne il marsupio e attaccarsi a uno dei capezzoli che ivi si trovano. Il marsupio può essere permanente, ma in alcune specie esso si forma solo durante il periodo dell’allevamento dei piccoli: altre specie, infine, non presentano affatto marsupio, quanto piuttosto delle pliche cutanee. Una volta raggiunto il capezzolo, il piccolo vi si aggrappa saldamente per le prime settimane di vita: lo svezzamento dei marsupiali è più tardivo rispetto a quello dei placentati.
I placentati presentano trofoblasto, che funge da barriera immunologica e consente una lunga permanenza dell’embrione nell’utero materno, la qual cosa risulta impossibile nei marsupiali, i quali sono costretti a partorire prima che le proprie difese immunitarie divengano pienamente efficienti contro l’embrione. La gestazione varia a seconda della specie, ad esempio roditori e carnivori hanno gravidanze veloci e cucciolate abbastanza numerose, mentre animali come i cetartiodattili hanno gravidanze assai lunghe e danno alla luce uno o due cuccioli alla volta. I record di durata spettano ad alcune specie di criceto, la cui femmina ha gestazione di soli 15 giorni, e all’elefante africano, che ha una gestazione lunga due anni. Il maggiore numero di cuccioli (fino a trentadue) spetta al tenrec.
I mammiferi e l’uomo
[modifica | modifica wikitesto]I mammiferi sono stati fondamentali per la storia dell’uomo, mammifero anch’esso: gli uomini primitivi si nutrivano della carne di altri mammiferi e ne utilizzavano le pellicce per difendersi dal freddo, inoltre utilizzavano le loro ossa per farne utensili. In seguito, molti mammiferi vennero addomesticati per utilizzarli come animali da soma o come fonte di carne e latte: altri invece venivano cacciati per ricavarne carne, ossa o zanne, da utilizzare come trofeo o per farne manufatti, o ancora per le presunte proprietà mediche (come il corno del rinoceronte) o per i significati religiosi o scaramantici che alcune parti del corpo potevano avere. Al giorno d’oggi, l’uso di animali da soma è stato quasi ovunque soppiantato dall’utilizzo di macchine, mentre permane l’allevamento di animali a scopo alimentare o come animali da compagnia o da laboratorio.
Allo stesso modo, anche l’uomo ha molto influenzato l’andamento delle popolazioni di mammiferi: in seguito all’espansione umana molte specie opportunistiche hanno esteso il loro areale muovendosi assieme alle navi o venendo introdotte più o meno di proposito in nuove terre, mentre altre sono state decimate dalla caccia o dalla distruzione dell’habitat o sono addirittura andate incontro all’estinzione. Tutta una serie di mammiferi, infine, è stata modificata dall’uomo perché meglio rispondesse alle sue esigenze, fossero esse di carne, latte, lana o lavoro.
I mammiferi nella cultura
[modifica | modifica wikitesto]In tempi antichi gli animali più forti, grandi o pericolosi sono stati venerati come spiriti totemici e in seguito come stemmi di alcune città o simboli di clan, mentre altri vennero bollati come esseri demoniaci a causa delle loro abitudini notturne o del relativamente alieno aspetto: è il caso del gatto e dei pipistrelli. In fiabe e leggende di tutto il mondo abbondano le immagini stereotipate degli animali, come la volpe furba, il mulo testardo o il maiale ingordo.
Mammiferi domestici
[modifica | modifica wikitesto]Uno dei motivi principali della domesticazione di molte specie di mammiferi è stata la necessità di avere sempre sottomano una riserva di carne fresca, ricca di proteine e grassi, anche quando la selvaggina scarseggiava. I principali animali allevati per la carne sono bovini e suini, in misura assai minore anche conigli, ovini, caprini ed equini.
Anche la pelle e il pelo dei mammiferi tornavano utili all’uomo, che li utilizzava per coprirsi e difendersi dal freddo: animali allevati per la propria lana sono la pecora e l’alpaca, mentre i bovini vengono allevati anche per ricavarne cuoio dalla conciatura della pelle. Altri animali allevati per l’industria conciaria sono cincillà, visoni, zibellini e nutrie.
Dei mammiferi si può utilizzare anche il latte, che nelle altre specie è più ricco di nutrimento rispetto a quello umano, del quale può rappresentare un valido sostituto: i principali animali da latte sono i bovini, con oltre l’85% del totale mondiale, ma viene utilizzato anche il latte di pecora e capra, d’asina o di renna.
Alcuni mammiferi, tuttavia, non sono stati addomesticati per la loro carne, ma per la loro forza od agilità, che consentivano all’uomo di utilizzarli sia come cavalcatura per compiere lunghe distanze, che come animali da soma per compiere lavori troppo faticosi in poco tempo: è il caso di cavalli, asini, cammelli, dromedari, bufali indiani, elefanti asiatici e lama. Attualmente, l’utilizzo di animali da soma è limitato alle regioni più impervie o sottosviluppate, mentre nei Paesi industrializzati essi sono stati largamente sostituiti dalle macchine e sussistono in allevamenti amatoriali od in impieghi puramente rappresentativi (ad esempio le guardie a cavallo).
Per gli stessi motivi, alcuni di questi animali sono stati utilizzati anche come animali da guerra: fino al tardo XIX secolo, l’utilizzo di cavalli nelle operazioni veloci di attacco spesso risultava decisivo nell’esito della battaglia, mentre nell’antichità alcuni popoli (come i persiani e i Cartaginesi) erano soliti schierare fra le proprie file alcuni elefanti da guerra. In tempi recenti, cavalli ed elefanti vennero anch’essi soppiantati dalle macchine da guerra, ma l’utilizzo di animali continuò (ad esempio i muli degli Alpini durante le due Guerre Mondiali, dei cani anticarro sovietici durante la Seconda guerra mondiale, o ancora dei delfini addestrati come cacciamine dall’esercito statunitense)
Altri mammiferi, non forti né apprezzabili dal punto di vista alimentare, vennero invece scelti per le loro potenzialità come aiutanti nella caccia o nella disinfestazione degli accampamenti: è il caso del cane e del gatto, che tuttavia attualmente vengono tenuti perlopiù come animali da compagnia, anche se alcune razze di cane (come i segugi) continuano a venire selezionate appositamente per la caccia. I cani sono anche stati utilizzati, assieme ai maiali, come animali da tartufo, grazie al loro finissimo olfatto, od anche come aiutanti per i non vedenti.
Il processo di domesticazione dei mammiferi è cominciato fra i 15 000 ed i 10 000 anni fa, anche se recenti studi genetici effettuati sul cane domestico hanno retrodatato tale valore addirittura a 100 000 anni fa. Gli eventi di addomesticamento sono stati frutto di iniziative parallele prese in periodi diversi ed in luoghi diversi. Gli animali addomesticati più di recente sono stati il lama, il cavallo ed il coniglio, circa 5 000 anni fa.[senza fonte]
L’uomo ha inoltre tenuto in cattività i mammiferi anche per altri motivi:
- Per divertimento personale, ad esempio utilizzandoli in circhi, corse o competizioni come il rodeo. Poiché spesso gli animali vengono tenuti in condizioni non adatte a loro e l’addestramento è spesso collegato a maltrattamenti e sevizie sull’animale stesso, tali pratiche sono attualmente piuttosto malviste dall’opinione pubblica.
- Nei laboratori di ricerca, la presenza di mammiferi sui quali testare i prodotti o fare esperimenti è costante: i principali animali utilizzati per la ricerca sono le cavie (da cui il termine “cavia da laboratorio”), ratti e conigli, ma per la loro affinità con l’uomo spesso vengono utilizzati anche primati, in particolare il reso e il saimiri.
Specie dannose e pericolose
[modifica | modifica wikitesto]L’espansione dell’attività umana ha fatto sì che si venissero a creare delle zone agricole e dei depositi di cibo, che possono di tanto in tanto essere presi di mira da animali selvatici o comunque che vivono a stretto contatto con l’uomo. Fra le specie più dannose sotto questo punto di vista sono i ratti, sia quello nero che soprattutto quello bruno, mentre nelle aree in cui sono presenti mandrie di bestiame i grossi mammiferi carnivori presenti vengono sempre visti come dannosi e perciò eliminati, con esche avvelenate o con la caccia.
In alcuni casi, gli animali divengono direttamente pericolosi per l’uomo: mentre in tempi remoti non era raro che qualche uomo primitivo venisse divorato dai grandi predatori, attualmente è assai arduo che un carnivoro aggredisca un uomo allo scopo di cibarsene. I mammiferi più temuti per i loro presunti gusti antropofagi sono i grandi felini, come le tigri, i leoni e i leopardi, ai quali tuttavia spettano solo meno di una decina di uccisioni l’anno, assai meno delle migliaia di morti a causa di incidenti con altri animali domestici, come muli, tori ecc. Altri grandi predatori molto temuti sono stati (e sono tuttora) gli orsi (in particolare l’orso bruno) e i lupi, sebbene questi ultimi evitano la vicinanza dell’uomo e mietano pochissime vittime umane all’anno.
Molto più pericolosi sono i mammiferi portatori di malattie: ogni anno più di 50 000 uomini muoiono a causa della rabbia (trasmessa da cani, gatti, pipistrelli e altri animali infetti), mentre nel XIV secolo l’epidemia di peste nera trasmessa dai ratti falciò milioni di persone.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Mammal Species of the World, su departments.bucknell.edu. URL consultato il 29 giugno 2013.
- ^ Amniota, su Palaeos. URL consultato il 7 aprile 2009 (archiviato dall’url originale l’8 luglio 2012).
- ^ Richard Dawkins, Epilogo del racconto dell’Onicoforo, in Il racconto dell’antenato. La grande storia dell’evoluzione, Milano, Mondadori, 2006, p. 414, ISBN 88-04-56000-2.
- ^ La storia dei mammiferi, p. 4.
- ^ Salta a:a b La storia dei mammiferi, p. 2.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Asher RJ, A web-database of mammalian morphology and a reanalysis of placental phylogeny (PDF), in BMC Evol Biol. 2007 Jul 3;7:108..
- O’Leary MA, Bloch JI, Flynn JJ, Gaudin TJ, Giallombardo A, Giannini NP, Goldberg SL, Kraatz BP, Luo Z-X, Meng J, Ni X, Novacek MJ, Perini FA, Randall ZS, Rougier GW, Sargis EJ, Silcox MT, Simmons NB, Spaulding M, Velazco PM, Weksler M, Wible JR, Cirranello AL, The Placental Mammal Ancestor and the Post–K-Pg Radiation of Placentals (abstract), in Science, vol. 339, n. 6120, 8 febbraio 2013, pp. 662-667, DOI:10.1126/science.1229237.
- Wildman DE, Uddin M, Opazo JC, Liu G, Lefort V, Guindon S, Gascuel O, Grossman LI, Romero R, Goodman M., Genomics, biogeography, and the diversification of placental mammals., in Proc Natl Acad Sci U S A. 2007 Sep 4;104(36):14395-400.
- La storia dei mammiferi, vol. 1, Novara, De Agostini.
- (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Classificazione dei mammiferi
- Anatomia dei mammiferi
- Lista dei Mammiferi presenti in Italia
- Lista dei Mammiferi a rischio di estinzione
- Mammiferi velenosi
- Mammiferi scoperti nel XXI secolo
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikiquote contiene citazioni sui mammiferi
- Wikizionario contiene il lemma di dizionario «mammifero»
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sui mammiferi
- Wikispecies contiene informazioni sui mammiferi
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) J. Knox Jones, David M. Armstrong e Don E. Wilson, mammal, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Mammalia, in Encyclopædia Iranica, Ehsan Yarshater Center, Columbia University.
- (EN) Mammalia, su Fossilworks.org.
Uccelli
Lo stesso argomento in dettaglio: Uccelli nidificanti in Italia
Migrazione degli uccelli
L’Italia è un’importante rotta migratoria verso le regioni sahariane, in quanto costituisce un ponte naturale tra l’Europa continentale e l’Africa attraverso il Mediterraneo.
Gli uccelli migratori con un basso carico alare come la cicogna, il falco pecchiaiolo, il nibbio bruno, il falco di palude, il gheppio e il lodolaio eurasiatico dipendono dalle termiche e dalle correnti ascensionali per attraversare il Mediterraneo in primavera. Anche se la maggior parte di questi uccelli entrano in Europa attraverso il Bosforo o lo stretto di Gibilterra, molti partono da Capo Bon in Tunisia ed entrano in Europa passando per le Isole Eolie e lo stretto di Messina verso la Calabria. Molti di questi uccelli nidificano in Europa centrale e settentrionale. In autunno gli uccelli ritornano in Africa passando sulla stessa rotta.
Aves
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Disambiguazione – “Uccello” rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Uccello (disambigua).
Gli uccelli (Aves Linnaeus, 1758)[1] sono una classe di dinosauri teropodi[2][3] (dinosauri aviani) altamente specializzati caratterizzati dalla presenza di becchi sdentati e forcule, code corte con pigostilo, corpi ricoperti di piumaggio e ripieni di sacchi aeriferi, dita anteriori fuse, uova dai gusci duri, metabolismi alti e ossa cave ma robuste. In base a diversi criteri di classificazione, il numero di specie di uccelli conosciute oscilla fra le 9 000 e le 10 500[4], delle quali almeno 120 si sono estinte in tempi storici.
Gli uccelli hanno ali più o meno sviluppate; gli unici non forniti di ali sono i moa e gli uccelli elefante, entrambi estinti tra l’XI e il XVIII secolo. Le ali consistono di braccia specializzate, e la maggior parte delle specie riesce a volare. Tra gli uccelli non volatori ci sono i ratiti, i pinguini, e varie specie isolane. Certi uccelli, come i pinguini e gli anseriformi, sono nuotatori specializzati. Altri, come i corvidi e i pappagalli, sono tra gli animali più intelligenti, capaci d’utilizzare attrezzi e di lasciare in eredità comportamenti non congeniti, in effetti formando una sorta di cultura.
Molte specie sono migratorie, traversando distanze notevoli annualmente. Gli uccelli sono sociali: comunicano con segnali visuali, richiami, canti, e partecipano in altri comportamenti sociali, inclusi la riproduzione cooperativa, la caccia, la formazione di stormi, e l’assalto cooperativo ai predatori. La maggioranza degli uccelli sono temporaneamente monogami, mentre altri dimostrano comportamenti poligini e (più raramente) poliandri. Le uova sono solitamente covate e incubate nei nidi.
Gli uccelli sono i tetrapodi più abbondanti, con circa diecimila specie (la metà di esse classificate come passeridi). Vivono in quasi tutto il mondo, variando in grandezza da 5 cm per il colibrì di Elena, fino a tre metri per l’uccello elefante. I reperti fossili indicano che gli uccelli propriamente detti ebbero origine durante il Cretaceo, circa cento milioni di anni fa.[5] Ci furono però uccelli primitivi al di fuori dal gruppo Avialae che risalivano sino dal periodo Giurassico.[6] Molti di questi uccelli primitivi, come Archaeopteryx, non erano capaci di volo potenziato, e molti ritenevano tratti primitivi come denti e code lunghe.[6][7]
Indice
- 1Descrizione
- 2Anatomia
- 3Evoluzione
- 4Tassonomia
- 5Comportamento
- 6Legami con l’essere umano
- 7Gli uccelli nella letteratura e nelle arti
- 8Note
- 9Bibliografia
- 10Voci correlate
- 11Altri progetti
- 12Collegamenti esterni
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]Gli uccelli sono animali bipedi, alati, omeotermi ed ovipari, specializzati nel volo. Le loro dimensioni variano dai 5 cm del piccolo e leggero colibrì di Elena[8] ai 3 m dell’uccello elefante, un uccello malgascio estinto inadatto al volo.
Tutti gli uccelli (tranne i moa e gli uccelli elefanti) hanno i due arti anteriori modificati in ali e questa caratteristica permette a quasi tutti gli appartenenti alla classe di volare. Proprio questa capacità ha portato all’evoluzione di particolari adattamenti anatomici, tra i quali si possono citare il sistema digestivo unico ed il sistema respiratorio. La maggior parte degli uccelli è dotata di grande intelligenza, e specie come corvi e pappagalli sono considerate tra le più intelligenti tra gli animali. Molti uccelli sono infatti in grado di modificare ed usare piccoli oggetti per perseguire i propri scopi, ed è ormai accertato che in alcune specie vi sia una trasmissione delle conoscenze tra le generazioni. Sono animali socievoli che spesso vivono in colonie, comunicando grazie a segnali di tipo visivo o di tipo uditivo. Spesso partecipano a comportamenti sociali quali caccia e difesa.
Le caratteristiche comuni a tutti gli uccelli sono[9]:
- il becco corneo privo di denti, spesso nero e resistente. Esistono differenti tipi di becco, in base al comportamento alimentare proprio della specie di uccello: a spatola, a cesoia, ad uncino, ecc.
- mancanza di un vero e proprio naso: le narici si aprono direttamente sulla superficie superiore del becco;
- presenza di una palpebra accessoria, la membrana nittitante, per ulteriore protezione dell’occhio;
- mancanza di un vero e proprio orecchio. Gli uccelli dispongono di aperture ai lati del capo, situate dove i mammiferi possiedono le orecchie, adatte a captare i suoni. Alcune specie (gufi, civette, barbagianni, allocchi) possiedono tali fori non simmetrici, ma sfalsati, in modo da captare la direzione dei suoni sia sul piano orizzontale (come nei mammiferi), sia sul piano verticale, caratteristica molto utile per i predatori notturni;
- la deposizione di uova dal guscio duro fatto di carbonato di calcio;
- cuore a due atrii e due ventricoli. La frequenza del battito cardiaco è più elevata di quella dei mammiferi per consentire il dispendio energetico connesso al volo;
- presenza di piume sul corpo. Le piume fungono da isolante termico verso l’ambiente esterno, esattamente come fanno i peli per i mammiferi. In alcune specie (cigni, anatre, oche, ecc.) servono anche per rendere impermeabile all’acqua il piumaggio sottostante, isolando ulteriormente il corpo dell’animale dalla temperatura esterna e facilitandone anche il galleggiamento;
- presenza di penne sopra le piume che permettono un miglior controllo del volo;
- omeotermia che permette di mantenere costante la temperatura corporea, esattamente come i mammiferi.
Distribuzione
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Si calcola che al mondo esistano circa 10 000 specie viventi e che circa 120-130 specie si siano estinte, a partire dal XVII secolo, a causa delle attività umane; per centinaia di altre l’estinzione è avvenuta in tempi più remoti. Gli uccelli vivono e si stabiliscono per riprodursi nella maggior parte degli habitat terrestri, in tutti e sette i continenti, anche se le zone in cui si ritrova la maggiore diversità di volatili sono le regioni tropicali. Una grande quantità di specie si sono adattate per vivere sia sulla terra che sugli oceani, colonizzando quindi anche l’acqua, come, per esempio, i pinguini. Altre specie, come ad esempio gli uccelli domestici originari delle regioni tropicali, si sono diffuse a causa dell’attività umana, colonizzando territori in cui prima non erano presenti. Non è raro che esemplari di tali specie introdotte si siano ritrovati liberi, dando origine a delle piccole colonie.
Anatomia
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Gli uccelli hanno sviluppato alcune caratteristiche proprie ed uniche. A differenza dei mammiferi, essi non urinano, ma i nitrati vengono filtrati nei reni ed espulsi dalla cloaca sotto forma di cristalli di acido urico (la parte biancastra degli escrementi).
L’apparato scheletrico
[modifica | modifica wikitesto]Il sistema scheletrico si è evoluto per permettere il volo, inducendo peculiari adattamenti quali la modifica dello sterno, che si è appuntito a formare la carena, più aerodinamica e maggiormente adatta all’inserzione dei potenti muscoli alari. Gli uccelli che possiedono la capacità di volare hanno ossa cave, con delle strutture, simili a puntelli, che le attraversano per renderle più resistenti. Le cavità ossee sono spesso collegate con i sacchi d’aria, che si sviluppano dai polmoni. Viceversa, le specie che non sono in grado di volare, come i pinguini, hanno solamente ossa non cave. Le ossa cave (o ossa pneumatiche) sono leggere e prive di midollo osseo e questa caratteristica non consente l’emopoiesi (la produzione delle cellule del sangue), funzione riservata al fegato ed alla milza. Perciò le eventuali fratture ossee non possono essere riparate. Infine, la superficie della gabbia toracica è molto ampia rispetto al corpo dell’animale.
Gli uccelli, paragonati ad altre specie animali, hanno un numero di ossa molto basso e questa caratteristica è dovuta al fatto che le loro ossa sono fuse insieme a formare singole ma grandi ossificazioni.
I volatili hanno anche più vertebre cervicali di tutti gli altri animali, e questo permette loro una grandissima flessibilità del collo, che consiste di un numero di vertebre che varia da 13 a 25. Le vertebre cervicali sono generalmente eterocerche. Altra tipicità degli uccelli è il fatto che sono gli unici vertebrati ad avere le clavicole fuse una con l’altra (formando la forcula), o in assenza di questo adattamento, uno sterno rovesciato, per permettere un solido attacco ai muscoli, in particolare ai pettorali, utilizzati per il volo, o per il nuoto, nel caso degli uccelli acquatici. Altro adattamento tipico è la forma delle costole, che hanno un profilo uncinato che permette una resistenza maggiore agli sforzi del volo, incastrando questi uncini con quelli delle costole precedenti e successive. A livello della zona sacrale si può notare la presenza di una struttura ossea compatta, derivata dalla fusione di vertebre sacrali, lombari e caudali, definita sinsacro, grazie alla quale viene attutito l’urto causato dall’atterraggio.
Testa
[modifica | modifica wikitesto]Gli uccelli sono dotati di una vista molto sviluppata, la migliore nel mondo animale: gli uccelli da preda, come la poiana, posseggono un’acutezza visiva molto sviluppata che permette una visione a distanza 6-8 volte migliore di quella umana, mentre un gufo riesce a vedere perfettamente nel buio più assoluto (grazie ad un sistema di amplificazione oculare della luce notturna). Questo adattamento è permesso dall’altissima densità di fotorecettori posti nella retina (in media 1 000 000 per millimetro quadrato, contro i 200 000 degli umani), da un gran numero di nervi ottici, da un secondo gruppo di muscoli che controllano gli occhi, assenti negli altri animali e, in alcuni casi, grazie ad una zona dell’occhio che permette una maggiore risoluzione dell’immagine. Molti uccelli, oltre a queste particolarità, possono anche captare la luce polarizzata e la radiazione elettromagnetica corrispondente ai raggi ultravioletti (invisibile all’occhio umano in quanto non possiede i fotorecettori sensibili a questa lunghezza d’onda / frequenza). Gli occhi occupano una parte del cranio considerevole e sono circondati da un anello osseo.
In correlazione con la testa è la presenza del cervello, che ha un peso relativo molto elevato, rispetto alla totale massa dell’animale e confrontato con quello di tutti gli altri animali. Questo implica, ed è conseguenza del fatto, che gli uccelli sono tra gli animali più intelligenti, caratterizzati da processi mentali complessi e avanzati. Tutti gli uccelli, e in particolare quelli migratori, possiedono, all’interno di alcuni neuroni siti in determinati agglomerati (“nuclei”) del cervello sottilissimi aghi di magnetite in grado di permettere l’orientamento con il campo magnetico terrestre in modo così perfetto da essere funzionale anche per migliaia di chilometri in mare aperto, un luogo notoriamente privo di punti di riferimento.
Becco
[modifica | modifica wikitesto]Il becco è una struttura anatomica esterna degli uccelli usata, oltre che per mangiare, per pulire le penne e le piume, per manipolare oggetti, per uccidere le prede, per ricercare il cibo, per nutrire i piccoli ed interviene, in alcuni casi, anche nel corteggiamento. Ci sono vari tipi di becco, che mostrano diversi adattamenti da parte dei pennuti, avvenuti soprattutto per potersi procurare il cibo in base alle proprie abitudini alimentari. La regione compresa tra gli occhi ed il becco viene detta lore, ed in qualche caso si presenta senza piume e colorata. Il becco è composto da una mandibola superiore (o maxillia), e da una mandibola inferiore. Entrambe sono fatte d’osso, spesso cavo o poroso. La superficie esterna del becco è ricoperta da una sottile guaina di cheratina, chiamata rhamphotheca. Tra questo duro livello esterno, che ha il compito di fornire protezione al becco, e l’osso vero e proprio, vi è un livello vascolare che contiene capillari e le terminazioni nervose. Sulla superficie del becco si trovano due forellini, le narici, che connettono alla parte cava del becco stesso con il sistema respiratorio. In alcune specie le narici sono poste in una struttura carnosa, spesso cerea, posta alla base del becco, chiamata cere. La procellaria e l’albatross possiedono delle guaine esterne, chiamate naricorns, che proteggono le narici. In qualche specie, la punta del becco è dura ed è formata da tessuto morto usato per compiti che richiedono forti pressioni, come rompere noci o uccidere prede. In altre specie ancora, la punta è sensibile, e contiene terminazioni nervose, permettendo all’animale di identificare oggetti, toccandoli. Il becco di molti pulcini possiede anche un piccolo apparato osseo, detto dente d’uovo, che facilita la rottura dell’uovo durante la sua schiusa. Il becco è una struttura che deperisce velocemente con il tempo e, soprattutto, con l’utilizzo, ed è per questo che cresce costantemente per tutto l’arco della vita dell’animale.
Come notò Charles Darwin durante il suo viaggio alle Galápagos, i becchi degli uccelli si sono evoluti per adattarsi agli scopi ecologici nei quali essi intercorrono. Per questo motivo, per esempio, i predatori hanno becchi ricurvi per strappare la carne delle carcasse delle loro prede, i colibrì hanno becchi lunghi ed affusolati per arrivare al nettare presente nella parte più nascosta dei fiori, mentre le spatole hanno un becco con una forma che permette di filtrare l’acqua, procurandosi cibo.
Il sistema respiratorio
[modifica | modifica wikitesto]Il sistema respiratorio degli uccelli è estremamente complesso. Vi sono tre differenti set di organi che intercorrono nella respirazione: i sacchi d’aria anteriori (divisi in inerclavicolari, cervicali e toracici anteriori), i polmoni ed i sacchi d’aria posteriori (toracici posteriori ed addominali).
I sacchi d’aria (o sacchi aeriferi) posteriori ed anteriori, tipicamente nove, si espandono durante l’inalazione e sono strutture che possiamo trovare soltanto nei volatili. Non hanno un ruolo diretto nello scambio di gas con l’esterno, ma immagazzinano l’aria e si comportano come dei mantici, permettendo ai polmoni di mantenere un volume costante, grazie all’aria fresca che costantemente arriva dai sacchi. L’aria, durante l’inspirazione, entra all’interno del corpo dell’animale attraverso le narici, passando poi nella trachea. Il 75% supera i polmoni, senza entrarvi, e viene incanalata direttamente nei sacchi d’aria, che si estendono dai polmoni e si connettono con le cavità ossee, che vengono quindi riempite di gas. Il restante 25% di aria inalata, viene invece indirizzato direttamente nei polmoni. Durante l’espirazione, invece, l’aria utilizzata fuoriesce dai polmoni, mentre quella inutilizzata passa dai sacchi d’aria ai polmoni. Quindi, durante entrambe le fasi della respirazione, i polmoni di un uccello ricevono costante apporto di aria, fatto di fondamentale importanza in un’attività dispendiosa come il volo. Questo meccanismo consente ad alcune specie di volare ad altezze inimmaginabili, dove la concentrazione di ossigeno è estremamente rarefatta. Alcune oche dalla testa barrata sono state osservate in volo a 10 000 metri d’altezza. Dal momento che gli uccelli hanno un’alta richiesta metabolica, derivante dal volo, il loro organismo ha una grandissima domanda di ossigeno.
A differenza dei polmoni dei mammiferi, quelli degli uccelli non hanno alveoli, ma contengono milioni di piccoli passaggi, chiamati parabronchi, connessi l’uno con l’altro dai dorsobronchi e dai ventrobronchi. L’aria fluisce attraverso le pareti dei parabronchi, che hanno la stessa struttura tipica degli alveari, per finire poi nelle vescicole d’aria, chiamate atria, che si proiettano radialmente dai parabronchi stessi. Dalle atria, si sviluppano i capillari d’aria, dove l’ossigeno ed il biossido di carbonio sono scambiati per diffusione, passando nei capillari che trasportano il sangue. Gli uccelli non hanno un diaframma e perciò l’intera cavità del corpo funziona come un unico mantice, per muovere l’aria attraverso i polmoni. Per questo motivo, l’espirazione richiede la contrazione muscolare.
Strettamente legata all’apparato respiratorio è anche la produzione di suoni da parte dell’animale. La siringe è l’organo, caratteristico degli uccelli, che interviene per questo scopo, ed è localizzato alla base della trachea. Il suono viene prodotto grazie alle vibrazioni indotte dal passaggio dell’aria attraverso quest’organo, che permette, in alcune specie, l’emissione di più tonalità alla volta, producendo vocalizzazioni molto articolate e complesse.
L’apparato digerente
[modifica | modifica wikitesto]L’apparato digerente degli uccelli è provvisto di uno stomaco simile a quello dei mammiferi, il cui compito è quello di sciogliere il cibo ingerito mediante l’azione dell’acido cloridrico concentrato e dell’enzima proteolitico pepsina. Essendo sprovvisti di denti, essi dispongono di un secondo stomaco, lo stomaco trituratore o ventriglio, posto tra lo stomaco propriamente detto e il piccolo intestino, la cui funzione consiste nel triturare il cibo vicariando così l’azione dei denti. A tale scopo gli uccelli, spesso, ingurgitano volontariamente piccoli sassi che incamerano nello stomaco trituratore, come del resto facevano i dinosauri, stando alle recenti scoperte.
L’alimentazione degli uccelli varia a seconda della specie.
In generale, gli uccelli possono essere suddivisi in diverse categorie a seconda del tipo di alimentazione:
- granivori: mangiano principalmente cereali, semi e grano. Appartengono a questa categoria passeri, cardellini, fringuelli, zigoli e la maggior parte dei piccoli uccelli da giardino;
- insettivori, picchi, merli e usignoli, che basano la loro dieta su insetti e larve;
- frugivori, come i tucan ed alcune specie di pappagalli, che si nutrono di frutta;
- nettarivori, tra cui i colibrì, che si cibano prevalentemente di nettare dei fiori;
- piscivori, la cui dieta, come è facile intuire, è a base di pesce. Appartengono a questa categoria il falco pescatore, pinguini, smerghi, cormorani, pulcinelle di mare e altri uccelli acquatici;
- avivori, come ad esempio sparvieri, astori e uccelli rapaci più grandi, che si nutrono di altri uccelli;
- mollusiveri, che si nutrono di molluschi come lumache, chiocciole, vongole e ostriche;
- carnivori, che si nutrono di roditori, piccoli mammiferi, rettili e anfibi;
- ovivori, che si cibano di uova di altri volatili.
Una vera e propria categorizzazione stretta degli uccelli in base alle loro abitudini alimentari è comunque complicata da fare dal momento che la maggior parte delle specie è generalista con delle predilizioni particolari a seconda delle attitudini e della disponibilità di cibo.
Apparato riproduttore
[modifica | modifica wikitesto]Anche se la maggior parte degli uccelli maschi non presenta un organo sessuale esterno, tutti hanno due testicoli che, durante la stagione riproduttiva si espandono e diventano attivi nella produzione di sperma. Anche le ovaie degli esemplari femminili si espandono e si attivano anche se si è notato che, solitamente, solo l’ovaio sinistro è funzionante e quello destro rimane inattivo per attivarsi nel caso in cui il sinistro smetta di funzionare.
In alcune specie i maschi non posseggono un organo copulatore. Lo sperma viene conservato nella glomera seminale, che si trova accanto alla protuberanza che interviene nell’atto sessuale, la cloaca. Durante la copulazione, la femmina sposta la propria coda di lato mentre il maschio, ponendosi sul suo dorso, accosta la propria cloaca a quella della femmina, permettendo la fecondazione. L’atto sessuale può essere spesso molto veloce durando, in alcuni casi, anche meno di mezzo secondo. Lo sperma viene poi conservato nei tubuli dell’apparato riproduttivo femminile per un periodo che, a seconda delle specie, può variare da una settimana ad un anno. Successivamente le uova vengono fecondate individualmente prima della deposizione. Le uova, e quindi le cellule riproduttive, continuano il loro sviluppo all’esterno del corpo della femmina. Alcune specie, soprattutto di uccelli acquatici, possiedono un fallo che, quando non utilizzato, viene nascosto all’interno della cloaca.
Il sistema nervoso
[modifica | modifica wikitesto]La parte più sviluppata del sistema nervoso è quella deputata al controllo del volo, mentre al cervelletto sono demandate le attività di controllo dei movimenti e degli istinti riproduttivi (corteggiamento, costruzione del nido) e del comportamento in generale. Gli occhi sono ben sviluppati e, a seconda della specie, possono essere posti:
- lateralmente, per ottenere una visione ampia del territorio circostante;
- frontalmente, per una maggiore precisione nell’atterraggio e nella misura delle distanze;
- in combinazione tra le due posizioni precedenti.
Penne e piumaggio
[modifica | modifica wikitesto]Le penne sono delle escrescenze epidermiche, tipiche degli uccelli. Vengono considerate le strutture dell’apparato tegumentario più complesse nei vertebrati. Esse si sviluppano solamente in alcuni tratti ben definiti dell’epidermide degli uccelli, e intervengono nel volo, nell’isolamento termico, nell’impermeabilità e nella colorazione, aspetto di fondamentale importanza nella comunicazione dei volatili. Le penne si formano nei piccoli follicoli presenti nell’epidermide che producono proteine della cheratina. La loro struttura portante è composta dal calamo, la parte che permette l’attacco all’ala, e dal rachide, la continuazione del calamo. Al rachide sono attaccate le barbe che, a loro volta, presentano ai lati le barbule. La penna matura degli uccelli è una parte morta paragonabile al pelo nei mammiferi. Vi sono due tipi fondamentali di penne
- piume mobili, che coprono la parte esterna del corpo;
- piume interne, che si trovano sotto le prime a contatto con l’epidermide.
Le penne vengono ricambiate periodicamente nel momento in cui una nuova piuma si forma nello stesso follicolo, da cui la vecchia viene espulsa. Il ricambio delle penne di un uccello viene attuato in maniera da non lasciare nuda nessuna parte del corpo e in modo tale da non compromettere il volo. Le penne della coda vengono cambiate a coppie simmetriche proprio per questo motivo. Le piume servono, inoltre, ad isolare il corpo degli uccelli proteggendoli dall’acqua e dalle temperature rigide. Alcune piume delle ali e della coda servono per regolare il volo. Queste hanno precise caratteristiche e sono disposte in punti ben precisi. Alcune specie hanno delle vere e proprie creste di piume sulla testa. Le piume non sono distribuite uniformemente sulla pelle degli uccelli, se non raramente (i pinguini). Nella maggior parte dei casi, le penne crescono in alcune aree specifiche dell’epidermide, chiamate pterylae, anche se vi sono delle zone in cui la crescita non avviene, dette apterylae. La disposizione delle penne, detta pteryloghrafia, varia molto tra le famiglie di uccelli, ed in passato veniva utilizzata per determinare i rapporti evolutivi tra le varie specie. Alcune specie possiedono, sulle ali, particolari penne strutturate in modo tale da permettere la produzione di suoni per stridulazione. Nonostante le piume siano leggere, l’intero piumaggio di un uccello pesa circa tre volte di più del suo scheletro.
Il colore assume la funzione mimetica e sessuale, permettendo la distinzione degli individui maschi o femmine. In alcuni casi, tra i due sessi non vi è alcuna differenza di colorazione visibile. I colori delle piume sono prodotti dalla presenza di pigmenti, soprattutto melanine (che danno tonalità di colore che variano dal marrone, nero e grigio) e carotenoidi (che determinano i colori rosso, giallo ed arancione). Le melanine danno anche una notevole resistenza aggiuntiva, anche se le penne che contengono questo pigmento sono degradate più facilmente dai batteri, rispetto a quelle che contengono carotenoidi. Un’altra importante caratteristica che determina il colore è la struttura della penna stessa. In questo senso i colori blu e verde della maggior parte dei pappagalli, sono prodotti dall’interazione prodotta dalla riflessione della luce tra differenti livelli della struttura delle piume ed i carotenoidi di colore giallo. L’evoluzione della colorazione è strettamente collegata alla selezione sessuale ed è stato dimostrato che i pigmenti basati sui carotenoidi si sono evoluti perché sono un segnale di ottimo stato fisico, in quanto essi derivano dalla dieta dell’animale. In alcuni casi, il colore delle penne può essere modificato o creato grazie alle secrezioni di una speciale ghiandola, tipica degli uccelli, detta dell’uropigio. Queste secrezioni possono anche avere effetti sulla conservazione delle stesse piume, attaccando ed inibendo i batteri che si annidano sulla superficie. Le piume rappresentano l’habitat di molti ectoparassiti, pidocchi e acari. Gli uccelli cercano di mantenere la condizione ottimale delle loro piume bagnandosi in acqua, ricoprendosi di polvere o lisciandole con l’aiuto del becco.
Le varie teorie sull’evoluzione delle piume si sono basate sostanzialmente su tre punti di partenza:
- regolazione termica;
- volo;
- effetti visivi.
La scoperta di antenati fossili degli uccelli incapaci di volare, ma dotati di penne, ha portato a scartare l’ipotesi che le penne si siano sviluppate esclusivamente per il volo. In passato si pensava che potessero essere un’evoluzione delle squame dei rettili, da cui gli uccelli si sono evoluti. Attualmente vi sono varie obiezioni a questa teoria, la più importante delle quali afferma che se fosse così, non si spiegherebbe il fatto che le penne degli uccelli odierni si sviluppano dai follicoli. Il numero di piume per unità di area risulta maggiore negli uccelli più piccoli rispetto a quelli più grandi, e questo sta ad indicare l’importanza che esse hanno nella regolazione termica, in quanto i primi perdono più calore, perché hanno una superficie relativamente ampia, in relazione alla loro massa. Questo fatto potrebbe avvalorare la teoria che le piume si siano evolute per regolare la temperatura degli animali, ma non vi sono prove certe.
Quasi tutte le specie di volatili mutano il piumaggio annualmente, di solito dopo la stagione degli accoppiamenti, e questo tipo di muta, detta pre-basica, forma il piumaggio basico. Molte specie però, intraprendono anche una seconda muta, anticipata rispetto alla stagione degli accoppiamenti, conosciuta come muta pre-alternata, che dà origine al piumaggio alterno o nuziale. Questo tipo di piumaggio è spesso molto più chiaro rispetto a quello basico, allo scopo di attirare il partner con cui accoppiarsi, ma può anche venire utilizzato per nascondersi durante la covata, periodo durante il quale gli uccelli sono molto vulnerabili. Un esempio è dato dagli esemplari maschili delle anatre che hanno un piumaggio chiaro e ricco di colorazioni, mostrando un grande dimorfismo sessuale rispetto alle femmine della stessa specie, che viene però mutato in un piumaggio più pallido, simile a quello delle femmine, quando non si trovano nella stagione degli accoppiamenti. Questo piumaggio, meno appariscente, viene detto piumaggio d’eclissi, e nel periodo di muta dal piumaggio nuziale al piumaggio d’eclissi le anatre non sono in grado di volare, in quanto perdono gran parte della penne.
Nel piumaggio possono esserci delle variazioni (sia di tipo ereditario sia non ereditario) molto rare, che vanno perciò a comporre un piumaggio anormale o aberrante. Un tipo di piumaggio anormale è dato dal leucismo, che include in parte l’albinismo, consistente nella mancanza di pigmenti in alcune parti o nella totalità del corpo. Il melanismo si riferisce invece ad un eccesso di colori neri o scuri. L’eritromelanismo indica, invece, l’eccessiva presenza di melanine rosse o marroni, che variano perciò il colore del piumaggio. Le variazioni di colore di un piumaggio, tra cui anche l’albinismo, vengono raggruppate comunque tutte sotto la dicitura di schizocromismo.
Evoluzione
[modifica | modifica wikitesto](EN)
«The dinosaurs are not extinct. The colorful and successful diversity of the living birds is a continuing expression of basic dinosaur biology.»
(IT)
«I dinosauri non sono estinti. La varietà multicolore e validissima degli attuali uccelli è una perdurante espressione dei tratti fondamentali della tipica biologia dei dinosauri.»
(Robert T. Bakker (1975)[10])
L’evoluzione degli uccelli da antenati teropodi celurosauri ha sempre rappresentato uno dei più grandi ed affascinanti misteri dell’evoluzione. In pieno dibattito fra sostenitori ed oppositori delle teorie di Darwin, venne trovata nel 1860 in Baviera la prima penna fossile e, poco dopo, lo scheletro dell’animale al quale tale penna era verosimilmente appartenuta. Si trattava del celeberrimo Archaeopteryx, risalente al tardo Giurassico e lungamente considerato quale membro più arcaico della classe Aves. Tale gruppo monofiletico è qualificato dalla presenza di penne omologhe a quelle degli uccelli attuali, tali da permettere all’animale di volare. La struttura scheletrica dell’Archaeopteryx, provvisto di coda ossea e privo di becco, fornisce, già di per sé, un’evidente prova del fatto che gli Uccelli discendono da un antenato appartenente ai dinosauri, anche se al tempo di Darwin gli scienziati non furono ancora in grado di stabilire tale collegamento. Solo il darwiniano Thomas Henry Huxley mise in relazione lo scheletro di alcuni dinosauri carnivori (teropodi) con quello degli Uccelli, considerandoli, però, soltanto dei lontani cugini. Il dromeosauride Cryptovolans era capace di volo attivo, uno sterno simile a quello degli uccelli attuali e costole con processi uncinati, il che lo faceva più simile ad un uccello rispetto ad Archaeopteryx, che mancava di queste caratteristiche. Dopo il ritrovamento di Cryptovolans, alcuni studiosi hanno addirittura avanzato l’ipotesi che i dromeosauri fossero uccelli a tutti gli effetti, i cui membri di taglia maggiore erano inetti al volo. Altre scuole di pensiero vorrebbero gli uccelli e i Maniraptora discendenti dei primi arcosauri come il Longisquama.
Nei primi anni settanta, esami filogenetici hanno dimostrato che gli uccelli sono più strettamente imparentati con i dinosauri di quanto si pensasse, tanto da ritenere opportuno piazzarli nel sottordine dei teropodi (che fanno parte dei saurischi), dove assieme all’ordine dei Crocodylia costituirebbero gli ultimi membri esistenti del clade Archosauria[11][12][13][14][15][16]. Essendo, in accordo a questa analisi, gli uccelli una superfamiglia di Dinosauria, tutt’oggi si dibatte su di un’eventuale unificazione delle classi Aves e Reptilia[11][12][17].
Dinosauri piumati
[modifica | modifica wikitesto]Le penne di tipo moderno, presenti in tutti gli uccelli e in molti dinosauri non-aviari come il Caudipteryx (collegato ma non direttamente ancestrale ad Archaeopteryx), hanno uno stelo centrale, la cui parte superiore (rachide) sorregge un vessillo piatto costituito da barbe parallele. Ulteriori ramificazioni perpendicolari alle barbe (le barbule) si incastrano tra loro tramite piccoli uncini, creando una superficie compatta che permette una notevole resistenza all’aria. Si presume che nella linea generante gli uccelli si sia intensificato l’uso degli arti anteriori, già ben sviluppati in tutti i celurosauri del gruppo dei Maniraptora, ponendo le basi al complesso sistema osseo e muscolare che porterà alla modificazione degli arti anteriori in ali, capaci di sostenere il volo attivo. Si precisa che il volo attivo comparirà solo successivamente, dato che in questi primi uccelli le penne consentivano un semplice volo planato, tale da permettere facili spostamenti tra i rami degli alberi ed una maggiore velocità nella caccia.
Lo sviluppo embrionale di squame e penne, molto simile nelle prime fasi, e la presenza in entrambi questi annessi di β-cheratina sono tra le prove che giustificano l’appartenenza di Rettili e Uccelli al gruppo dei Sauropsidi e mostrano come l’evoluzione degli Uccelli sia più strettamente legata a quella dei Rettili attuali di quanto non sia a quella dei Mammiferi.[18]
Non è granché supportabile l’ipotesi che faceva delle penne strutture primariamente evolutesi per il volo, bensì pare che queste abbiano avuto all’origine un ruolo di termoregolazione, al pari della pelliccia dei mammiferi. Successivamente, le penne potrebbero aver svolto ulteriori funzioni, ad esempio nella protezione dei nidi o a scopo intimidatorio o nuziale, analogamente a quanto avviene negli uccelli moderni attraverso la selezione di fogge e colorazioni specie specifiche.
I ritrovamenti di fossili in Asia hanno permesso di ricostruire più dettagliatamente la filogenesi dei primi uccelli e dei rettili che hanno condotto a loro[11][15]. Per ulteriori informazioni si veda il dendrogramma dei Saurischia, in particolare a quei rettili già provvisti di penne primitive come Sinornithosaurus e Microraptor (Dromaeosauridae), Caudipteryx (Oviraptorosauria), Beipiaosaurus (Therizinosauria), Shuvuuia (Alvarezsauridae) e Sinosauropteryx (Compsognathidae), il più antico rettile piumato oggi noto. Dati i numerosi reperti rinvenuti, soprattutto nei saurischi ma anche in ornitischi, non è da escludere che il connubio tra squame e piumaggio (nei suoi diversi stadi evolutivi) sia una caratteristica dell’intero Dinosauria.
Tassonomia
[modifica | modifica wikitesto]Benché spesso si usi indicare come uccelli forme direttamente imparentate, quali Archaeopterygiformes, Confuciusornithiformes, Hesperornithes Ichthyornithes dal becco munito di denti, Enantiornithes, in realtà i soli veri uccelli (classificati come Neornithes), sono solo quelli attuali più tutti i rappresentanti del clade Neornithes, dal loro ultimo antenato comune compreso. I neorniti (uccelli) sembrano aver evoluto le proprie caratteristiche comuni alla fine del Cretaceo.
I Neornithes vengono a loro volta divisi in due superordini, Palaeognathae (soprattutto uccelli inetti al volo), e Neognathae.
Secondo la International Ornithologists’ Union (ottobre 2018) la classe degli Uccelli comprende 40 ordini e 245 famiglie.[19]
Sottoclasse Neornithes (comprendente tutti gli uccelli viventi)
Superordine Paleognathae:
Superordine Neognathae:
- Anseriformes
- Galliformes
- Gaviiformes
- Sphenisciformes
- Procellariiformes
- Podicipediformes
- Phaethontiformes
- Phoenicopteriformes
- Ciconiiformes
- Pelecaniformes
- Suliformes
- Accipitriformes
- Falconiformes
- Otidiformes
- Mesitornithiformes
- Cariamiformes
- Eurypygiformes
- Gruiformes
- Charadriiformes
- Pterocliformes
- Columbiformes
- Psittaciformes
- Opisthocomiformes
- Musophagiformes
- Cuculiformes
- Strigiformes
- Caprimulgiformes
- Apodiformes
- Coliiformes
- Trogoniformes
- Leptosomiformes
- Coraciiformes
- Bucerotiformes
- Piciformes
- Passeriformes
- Acanthisittidae, Sapayoidae, Eurylaimidae, Pittidae, Furnariidae, Thamnophilidae, Formicariidae, Grallariidae, Conopophagidae, Rhinocryptidae, Melanopareiidae, Tyrannidae, Cotingidae, Pipridae, Tityridae, Menuridae, Atrichornithidae, Ptilonorhynchidae, Climacteridae, Maluridae, Meliphagidae, Dasyornithidae, Pardalotidae, Acanthizidae, Pomatostomidae, Orthonychidae, Cnemophilidae, Melanocharitidae, Paramythiidae, Callaeidae, Notiomystidae, Psophodidae, Platysteiridae, Malaconotidae, Machaerirhynchidae, Vangidae, Pityriaseidae, Artamidae, Rhagologidae, Aegithinidae, Campephagidae, Mohouidae, Neosittidae, Eulacestomidae Oreoicidae, Pachycephalidae, Laniidae, Vireonidae, Oriolidae, Dicruridae, Rhipiduridae, Monarchidae, Corvidae, Corcoracidae, Melampittidae, Ifritidae, Paradisaeidae, Petroicidae, Picathartidae, Chaetopidae, Eupetidae, Bombycillidae, Ptiliogonatidae, Hypocoliidae, Dulidae, Mohoidae, Hylocitreidae, Stenostiridae, Paridae, Remizidae, Panuridae, Nicatoridae, Alaudidae, Pycnonotidae, Hirundinidae, Pnoepygidae, Macrosphenidae, Cettiidae, Scotocercidae, Erythrocercidae, Aegithalidae, Phylloscopidae, Acrocephalidae, Locustellidae, Donacobiidae, Bernieridae, Cisticolidae, Timaliidae, Pellorneidae, Leiothrichidae, Sylviidae, Zosteropidae, Modulatricidae, Promeropidae, Irenidae, Regulidae, Elachuridae, Hyliotidae, Troglodytidae, Polioptilidae, Sittidae, Tichodromidae, Certhiidae, Mimidae, Sturnidae, Buphagidae, Turdidae, Muscicapidae, Cinclidae, Chloropseidae, Dicaeidae, Nectariniidae, Passeridae, Ploceidae, Estrildidae, Viduidae, Peucedramidae, Prunellidae, Motacillidae, Urocynchramidae, Fringillidae, Calcariidae, Rhodinocichlidae, Emberizidae, Passerellidae, Calyptophilidae, Phaenicophilidae, Nesospingidae, Spindalidae, Zeledoniidae, Teretistridae, Icteriidae, Icteridae, Parulidae, Mitrospingidae, Cardinalidae, Thraupidae
- Incertae sedis: Graueria, Hylia, Pholidornis
A seconda del loro comportamento o habitat, gli uccelli possono venire suddivisi in:
- Uccelli acquatici (p. es.: Anseriformi)
- Uccelli marini (p. es.: Sfenisciformi)
- Uccelli rapaci (p. es.: Falconiformi)
- Uccelli migratori
- Oscini o Uccelli canori
Filogenetica
[modifica | modifica wikitesto]Cladogramma delle parentele degli uccelli odierni, basato su Jarvis, E.D. et al. (2015)[20] con certi clade nominati da Yury, T. et al. (2013).[21]
Comportamento
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L’abilità al volo non è una proprietà caratterizzante della classe, poiché esistono uccelli inetti al volo (ratiti, pinguini, molte specie insulari) ed altri animali volatori (pipistrelli, molti insetti).
Gli uccelli possono praticare monogamia (91% delle specie), poliginia (2%) o poliandria (meno dell’1%). La monogamia può essere perpetua (come negli psittaciformi) o limitata al periodo riproduttivo. Specie con tendenze monogame perpetue hanno dimorfismo sessuale scarso od assente. Il motivo della predominanza della monogamia fra gli uccelli è da ricercarsi nella tendenza del maschio ad occuparsi della prole in misura uguale alla femmina, cosa assai rara fra gli altri animali.
La maggior parte degli uccelli è diurna ed erbivora, nutrendosi di semi, nettare, germogli o frutta; esistono però anche specie notturne (come i succiacapre o i gufi) e/o carnivore (i già citati gufi, i rapaci), dove per carnivoro si può intendere un animale che si nutre di insetti, pesci o d’altri vertebrati.
Alcune specie di uccelli sono stanziali, rimangono cioè nella stessa zona durante tutto l’arco dell’anno: in regioni temperate od inospitali, durante la stagione fredda, molte specie di uccelli tendono a migrare verso climi più miti, dove nidificare, per poi tornare nel paese d’origine.
Canto
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Legami con l’essere umano
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In tutte le popolazioni umane è consuetudine tentare di allevare uccelli per vari motivi: per gusto estetico, per il canto, per la compagnia, per la caccia e pesca, per cibarsene, per mandare messaggi, per presagire avvenimenti, per gioco, per guardiania, per vestiario.
Gli uccelli sono stati un’importante fonte di cibo per l’uomo, sia come uccello vero e proprio, sia come uovo: basti pensare al pollo domestico, alle varie anatre e tacchini, alla selvaggina.
Oltre all’utilizzo per la carne, degli uccelli sono state utilizzate (soprattutto in passato) penne e piume per ornamento o per imbottire materassi, oltre che il guano ricco di nitrati come concime e come componente della polvere da sparo.
Gli uccelli vivi, fino a tempi recenti, hanno trovato impiego presso l’uomo in varie forme: basti pensare al piccione viaggiatore, per secoli utilizzato come messaggero, al piccione fotografo (una tecnica fotografica inventata da Julius Neubronner) o ai rapaci usati in falconeria, od ancora ai cormorani utilizzati dai pescatori mediorientali. Nella ricerca, polli e piccioni vengono utilizzati come cavie per la biologia e la psicologia comparata. Grazie alla loro sensibilità alle tossine, per decenni i canarini hanno fatto da spia per la presenza di gas tossici in trincee e miniere di carbone. Ancora, molti uccelli vengono abitualmente tenuti in casa come animali da compagnia (si pensi ai pappagalli o ai canarini).
Gli uccelli nella letteratura e nelle arti
[modifica | modifica wikitesto]Similitudine degli uccelli in poesia
[modifica | modifica wikitesto]La similitudine degli uccelli con gli esseri umani, già presente in Omero e in Sofocle (dove gruppi di persone gridano o fuggono come stormi d’uccelli), è un topos letterario molto significativo in Virgilio e Dante. Virgilio ad esempio l’utilizza nel canto della catabasi di Enea nell’Ade, paragonando le ombre che si affollano sull’Acheronte a uccelli a frotte che fuggono l’inverno oltre il mare verso terre calde[22]. Il paragone più celebre di Dante (in cui è frequentissima la presenza di questi animali) è nel canto di Paolo e Francesca, le colombe dal disio chiamate, che con l’ali alzate e ferme al dolce nido / volan per l’aere, dal voler portate.[23] Nello stesso quinto canto è ripetuta la similitudine delle anime con le gru, che van cantando lor lai, e con li stornei, che volano nel freddo tempo, a schiera larga e piena. Nell’antichità gli etruschi ed i romani divinavano il futuro analizzando il volo degli uccelli, pratica denominata ornimanzia.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Sheila Brands, Systema Naturae 2000 / Classification, Class Aves, su Project: The Taxonomicon, 14 agosto 2008. URL consultato il 3 novembre 2011 (archiviato il 28 maggio 2009).
- ^ Seth Borenstein, Study traces dinosaur evolution into early birds, in AP News, 31 luglio 2014. URL consultato il 3 agosto 2014 (archiviato dall’url originale l’8 agosto 2014).
- ^ Michael S. Y. Lee, Andrea Cau, Darren Naish e Gareth J. Dyke, Sustained miniaturization and anatomical innovation in the dinosaurian ancestors of birds, in Science, vol. 345, n. 6196, 1º agosto 2014, pp. 562–566, DOI:10.1126/science.1252243. URL consultato il 2 agosto 2014 (archiviato il 3 agosto 2014).
- ^ IOC World Bird List, su worldbirdnames.org. URL consultato il 22 maggio 2013 (archiviato il 4 novembre 2017).
- ^ Brown, J.W. & Van Tuinen, M., Evolving Perceptions on the Antiquity of the Modern Avian Tree, in Living Dinosaurs, in The Evolutionary History of Modern Birds, John Wiley & Sons LtD, 2011, pp. 306–324, DOI:10.1002/9781119990475.ch12.
- ^ Salta a:a b (EN) Lee M.S.Y., Cau A., Naish D., Dyke G.J., Morphological Clocks in Paleontology, and a Mid-Cretaceous Origin of Crown Aves, in Systematic Biology, vol. 63, n. 3, 2014, pp. 442–449, DOI:10.1093/sysbio/syt110.
- ^ P. D. Alonso, A. C. Milner, R. A. Ketcham, M. J. Cookson e T. B. Rowe, The avian nature of the brain and inner ear of Archaeopteryx, in Nature, vol. 430, n. 7000, 2004, pp. 666–669, DOI:10.1038/nature02706, PMID 15295597. PDF fulltext Archiviato il 9 febbraio 2006 in Internet Archive. Supplementary info Archiviato il 12 aprile 2016 in Internet Archive.
- ^ Camfield A, Mellisuga helenae, su Animal Diversity Web, 2004. URL consultato il 1º novembre 2012 (archiviato il 12 settembre 2012).
- ^ Ornitologia Fossombrone, su ornitologia.difossombrone.it. URL consultato l’11 aprile 2012 (archiviato il 1º aprile 2012).
- ^ (EN) Robert T. Bakker, Dinosaur Renaissance, Scientific American 232, no. 4 (April 1975), 58—78
- ^ Salta a:a b c J. H. Ostrom, Stratigraphy and paleontology of the Cloverly Formation (Lower Cretaceous) of the Bighorn Basin area, Wyoming and Montana, in Bulletin of the Peabody Museum of Natural History, vol. 35, 1970, pp. 1–234.
- ^ Salta a:a b Larsson, H. C. E., Endocranial anatomy of Carcharodontosaurus saharicus (Theropoda: Allosauroidea) and its implications for theropod brain evolution, in Tanke, D. H.; Carpenter, K.; Skrepnick, M. W. (a cura di), Mesozioc Vertebrate Life, Indiana University Press, 2001, pp. 19–33.
- ^ Xing Xu, Hailu You, Kai Du and Fenglu Han, An Archaeopteryx-like theropod from China and the origin of Avialae, in Nature, vol. 475, n. 7357, 28 luglio 2011, pp. 465–470, DOI:10.1038/nature10288, PMID 21796204.
- ^ Archaeopteryx, su Museo di Geologia e Paleontologia – Università di Padova. URL consultato il 25 marzo 2015 (archiviato dall’url originale il 4 marzo 2016).
- ^ Salta a:a b Gregory M. Erickson, Oliver W. M. Rauhut, Zhonghe Zhou, Alan H. Turner, Brian D. Inouye, Dongyu Hu, Mark A. Norell, Was Dinosaurian Physiology Inherited by Birds? Reconciling Slow Growth in Archaeopteryx, su PLoS ONE, 2009, DOI:10.1371/journal.pone.0007390. URL consultato il 25 marzo 2015 (archiviato il 13 ottobre 2014).
- ^ A. D. Walker rivista = Geological Magazine, vol. 177, 1980, p. 595.
- ^ Liem, Bemis, Walker, Grande, Anatomia comparata dei Vertebrati, Hoepli, 2005.
- ^ Giavini, Menegola – Manuale di Anatomia Comparata, p50 – Edises
- ^ Gill, F and D Donsker (Eds), IOC World Bird Names (ver 8.2), su worldbirdnames.org, International Ornithologists’ Union, ottobre 2018.
- ^ E.D. Jarvis e et al, Whole-genome analyses resolve early branches in the tree of life of modern birds, in Science, vol. 346, n. 6215, 2014, pp. 1320–1331, DOI:10.1126/science.1253451. URL consultato il 29 aprile 2019 (archiviato il 24 settembre 2015).
- ^ T. Yuri, Parsimony and Model-Based Analyses of Indels in Avian Nuclear Genes Reveal Congruent and Incongruent Phylogenetic Signals, in Biology, vol. 2, n. 1, 2013, pp. 419–444, DOI:10.3390/biology2010419.
- ^ Eneide, VI 311-312
- ^ Inferno, V 82-84
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Jennifer Ackerman, La vita segreta degli uccelli. Come amano, lavorano, giocano e pensano, 2020, La nave di Teseo, Milano, ISBN 978 88 346 0650 6
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Controllo degli uccelli
- Fauna
- Ornitologia
- Osservazione degli uccelli
- Riproduzione degli uccelli
- Topografia degli uccelli
- Zugunruhe
- Collezioni di uccelli
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikiquote contiene citazioni sugli uccelli
- Wikizionario contiene il lemma di dizionario «uccello»
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla classe Aves
- Wikispecies contiene informazioni sulla classe Aves
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Aves (zoologia), su sapere.it, De Agostini.
- (EN) Robert W. Storer, Austin L. Rand e Frank Gill, bird, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Aves, in Encyclopædia Iranica, Ehsan Yarshater Center, Columbia University.
- (EN, FR) Aves, su Enciclopedia canadese.
- (EN) Opere riguardanti Aves, su Open Library, Internet Archive.
- (EN) Aves, su Fossilworks.org.
- (EN) Birds, su The Visual Novel Database.
- Avibase – Ampio database su tutti gli uccelli del mondo
- Avionary 1500 Uccelli del Paleartico occidentale e centrale in 46 lingue
Rettili
Lo stesso argomento in dettaglio: Rettili in Italia.
Reptilia
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Rettili | |
---|---|
In senso orario da in alto a sinistra: tartaruga verde (Chelonia mydas), tuatara (Sphenodon punctatus), coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus) e agama del Sinai (Pseudotrapelus sinaitus) | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Sottoregno | Eumetazoa |
Superphylum | Deuterostomia |
Phylum | Chordata |
Subphylum | Vertebrata |
Infraphylum | Gnathostomata |
Superclasse | Tetrapoda |
(clade) | Amniota |
Classe | Reptilia Laurenti, 1768 |
Gruppi | |
TestudinesLepidosauromorphaRhynchocephaliaSquamataArchosauromorphaCrocodyliaAvese vedi testo | |
Areale | |
I rettili (Reptilia Laurenti, 1768, dal latino reptilis = “strisciante”) rappresentarono la prima classe di vertebrati svincolatasi dall’ambiente acquatico e quindi adattata, per le fondamentali funzioni biologiche, alla vita in un ambiente strettamente terrestre. Il numero di specie di rettili attualmente viventi è di circa 11 341.[1]
Ciò è dovuto innanzitutto a basilari adattamenti volti ad evitare la disidratazione di uova e animali: la pelle fortemente cheratinizzata e generalmente squamosa, le caratteristiche dell’uovo dotato di guscio è in grado di permettere la schiusa a sviluppo avanzato dell’organismo, ed i polmoni maggiormente concamerati di quelli degli anfibi, a compensare l’assenza di respirazione transcutanea.
La circolazione è doppia e incompleta, anche se nei coccodrilli il cuore ha i due ventricoli completamente divisi internamente, ma riuniti esternamente dal forame di Panizza.
Indice
- 1Classificazione dei rettili
- 2Evoluzione
- 3Apparati
- 4L’uovo dei rettili
- 5Note
- 6Voci correlate
- 7Altri progetti
- 8Collegamenti esterni
Classificazione dei rettili
Storia della classificazione
Da un punto di vista classico, i rettili includevano tutti gli amnioti tranne gli uccelli e i mammiferi. Quindi i rettili erano definiti come quel gruppo di animali contenente tartarughe, coccodrilli, lucertole, serpenti, anfisbene e tuatara. La definizione scientifica è Reptilia (dal latino “repere” = “strisciare”). Tuttavia, negli anni ’80 molti tassonomisti hanno incominciato a insistere che i taxa dovrebbero essere monofiletici; quindi, i gruppi dovrebbero includere tutti i discendenti da una particolare forma. I rettili secondo la definizione riportata sopra sarebbero parafiletici, dal momento che escludono sia i mammiferi sia gli uccelli, nonostante anche questi gruppi si siano originati da un rettile ancestrale. La tassonomia dei rettili, sulla base di ricerche successive agli anni 2000, è notevolmente passibile di riscrittura…
I tre gruppi di Goodrich
I termini Sauropsida (“aspetto da lucertola”) e Theropsida (“aspetto da bestia”) furono coniati da E.S. Goodrich nel 1916, per operare una distinzione tra lucertole, uccelli e i loro parenti da una parte (Sauropsida) e i mammiferi e i loro parenti estinti (Theropsida) dall’altra. Questa divisione è supportata dalla natura dei cuori e dei sistemi circolatori dei due gruppi, più altre caratteristiche come la struttura dei cervelli. Secondo Goodrich, entrambe le linee evolutive si evolsero da un gruppo basale, i Protosauria (“prime lucertole”), che includeva alcuni anfibi paleozoici così come alcuni rettili primitivi.
Il lavoro di Watson
Nel 1956 D.M.S. Watson osservò che i primi due gruppi si diversificarono molto presto nella storia evolutiva dei rettili, e così “spartì” i Protosauria di Goodrich tra i due gruppi. Egli interpretò inoltre i Sauropsida e i Theropsida in modo da escludere uccelli e mammiferi. Quindi, i Sauropsida includevano Procolophonia, Eosuchia, Millerosauria, Chelonia (tartarughe), Squamata (lucertole e serpenti), Rhynchocephalia (tuatara), Crocodylia, Thecodontia, Dinosauria (esclusi ovviamente gli uccelli), Pterosauria, Ichthyosauria e Sauropterygia.
Questa classificazione non fu mai popolare quanto quella proposta da Romer, che divise i rettili secondo la posizione delle “finestre temporali”, aperture ai lati del cranio poste dietro gli occhi. Queste divisioni erano:
- Anapsida – nessuna finestra
- Synapsida – una finestra in basso (non più considerati veri rettili);
- Euryapsida – una finestra in alto (ora inclusi nei Diapsida);
- Diapsida – due finestre.
Tutti i gruppi, tranne quello dei Synapsida, vengono inclusi nei Sauropsida. Attualmente, il termine Sauropsida viene considerato comunemente sinonimo di Reptilia.
Nuove scoperte
Nel 2005, Vidal e Hedges, con due articoli su Nature e su Comptes Rendus Biologies basandosi sulle mutazioni dei geni codificanti per le proteine, hanno praticamente riscritto la tassonomia della classe, in particolare degli squamati anche se la classificazione sopra riportata, basata sulle somiglianze morfologiche, viene utilizzata tutt’oggi.[2][3]
Tra le scoperte più paradossali: le iguane sono risultate molto meno antiche di quanto finora ritenuto, la presenza di veleno in lucertole ritenute non velenose, e che il veleno risulta presente da almeno 200 milioni di anni, praticamente coevo ai primi dinosauri.[4]
Tassonomia
Classificazione fino al livello di ordine, da Benton, 2015.[5]
- Serie Amniota
- Classe Synapsida
- Ordine Pelycosauria*
- Ordine Therapsida
- Classe Mammalia
- Classe Reptilia (Sauropsida)
- Sottoclasse †Parareptilia
- Sottoclasse Eureptilia
- Ordine †Araeoscelidia
- Ordine †Younginiformes
- Ordine Testudinata (tartarughe)
- Ordine †Thalattosauria
- Infraclasse †Ichthyosauria
- Infrasottoclasse †Sauropterygia
- Ordine †Placodontia
- Ordine †Nothosauroidea
- Ordine †Plesiosauria
- Superordine Lepidosauriformes
- Ordine Rhynchocephalia (tuatara)
- Ordine Squamata (lucertole e serpenti)
- Infraclasse Archosauromorpha
- Ordine †Rhynchosauria
- Ordine †Protorosauria
- Divisione Archosauriformes
- Infradivisione Crurotarsi
- Ordine †Phytosauria
- Superordine Crocodylomorpha
- Ordine Crocodylia
- Infradivisione Avemetatarsalia
- Ordine †Pterosauria
- Superordine Dinosauria
- Ordine †Ornithischia
- Ordine Saurischia
- Classe Aves (uccelli)
- Infradivisione Crurotarsi
- Classe Synapsida
Filogenesi
Questo cladogramma si basa sui tratti morfologici e genetici.[6]
Ordini attuali
Tra gli ordini viventi ricordiamo:
- i cheloni o testudinati, ovvero tartarughe e testuggini
- i loricati, comprendenti coccodrilli, alligatori, caimani e gaviali
- i rincocefali, rappresentati da una sola specie: i tuatara
- gli squamati, comprendenti i sauri (lucertole ed affini: varani,iguane gechi,camaleonti ecc.) e gli ofidi (i serpenti)
Evoluzione
Fin dall’inizio della loro storia, nel Carbonifero superiore (più di trecento milioni di anni fa), i rettili si divisero in due principali linee evolutive, distinte in base alle caratteristiche del cranio: la sottoclasse degli anapsidi (Anapsida) e quella dei diapsidi (Diapsida).
Anapsidi
Gli anapsidi, erano caratterizzati da un cranio compatto e privo di “finestre” per l’inserzione dei muscoli della bocca. Tra le forme fossili, da ricordare i piccoli procolofoni, gli acquatici mesosauri e i grandi pareiasauri, dai quali forse hanno preso origine le tartarughe. Nel Mesozoico questi rettili primitivi scomparvero quasi del tutto.
Diapsidi
Sempre nel Carbonifero, da alcuni anapsidi specializzati (protorotirididi e captorinidi) prese le mosse un nuovo gruppo, quello dei diapsidi, caratterizzato da un cranio con ampie finestrature per l’inserzione dei muscoli. Questi rettili evoluti presero ben presto il sopravvento, e si diversificarono in una moltitudine di forme che andarono a occupare tutti gli ambienti, compresi mare e cielo. Tra i principali gruppi, si ricordano gli ittiosauri simili a delfini, gli acquatici plesiosauri dal lungo collo, gli arboricoli avicefali, i lepidosauri (comprendenti lucertole, serpenti e tuatara), e gli arcosauri (comprendenti i coccodrilli, i dinosauri e gli pterosauri volanti). Alla fine del Mesozoico, circa 65 milioni di anni fa, un evento catastrofico pose fine al dominio dei rettili, permettendo ai mammiferi, fino a quel momento rimasti “nell’ombra”, di evolversi e di prosperare.
Apparati
Sistema respiratorio
I rettili, a differenza degli anfibi, non respirano attraverso la pelle, ma utilizzano i polmoni.[7]
Sistema circolatorio
I rettili, sono dei vertebrati a sangue freddo. Nel loro cuore c’è una separazione tra sangue ossigenato, dai polmoni, e quello deossigenato, dai tessuti del corpo.
L’uovo dei rettili
L’uovo, telolecitico (cioè con molte riserve nutritive che lo fanno schiudere in uno stadio di sviluppo molto più avanzato di quello degli anfibi) è molto simile a quello degli uccelli (uovo di tipo ornitico, caratteristico anche della gran parte dei dinosauri). Al contrario degli uccelli manca di camera d’aria ed è generalmente simmetrico, caratteri che si ritrovano invece nei teropodi estinti. Presenta:
- un guscio, eventualmente calcareo, permeabile all’ossigeno che permette la respirazione aerea e impedisce la disidratazione; generalmente di consistenza morbida, consiste di una membrana pergamenacea o corion rivestita più o meno (esistono anche uova rigide) da un rivestimento calcareo di unità di aragonite – in genere nei cheloni – o di calcite negli altri gruppi
- una membrana sottostante, detta amnios, vera innovazione dei rettili per la conquista terrestre, che lo protegge dalla disidratazione e dalla compressione
- un albume gelatinoso che fornisce un’ulteriore riserva nutritiva (proteine) per l’embrione, lo isola meccanicamente, lo idrata e lo protegge dalle infezioni microbiche
- una grossa cellula uovo ricchissima di un complesso nutritivo detto vitello (il tuorlo o sacco vitellino), composto di lipidi e proteine
- una membrana detta allantoide ha una doppia funzione:
- È una vescica urinaria; l’urina dei rettili (come quella degli uccelli), è semisolida perché contiene cristalli di acido urico.
- Dove l’allantoide viene in contatto con il guscio avvengono gli scambi respiratori; ossia esce anidride carbonica e entra ossigeno.
La fecondazione è interna e solo dopo di essa l’uovo riceve l’albume e il guscio.
Lo sviluppo dell’embrione avviene in una cavità ripiena di liquido, l’amnios o sacco amniotico: ciò permette di proteggerlo dall’essiccamento, dagli urti e dagli sbalzi termici.
L’uovo dei rettili è talmente ben adattato allo sviluppo in ambiente subaereo, che le tartarughe marine devono deporre le uova sulle spiagge.
Alcuni rettili, e solo tra gli squamati, come ad esempio molti viperidi come le vipere europee e lacertidi come la lucertola vivipara, sono vivipari o ovovivipari.
Note
- ^ List of all species of Reptiles, su The Reptile Database. URL consultato il 30 agosto 2020.
- ^ Fry, B. G., Vidal, N., Norman, J. A., Vonk, F. J., Scheib, H., Ramjan, S. F. R., Kuruppu, S., Fung, K., Hedges, S. B., Richardson, M. K., Hodgson, W. C., Ignjatovic, V., Summerhayes, R. & Kochva, E., 2006: Early evolution of the venom system in lizards and snakes – Nature: Vol. 439, pp. 584-588
- ^ Vidal, N. & Hedges, S. B. , 2005: The phylogeny of squamate reptiles (lizards, snakes, and amphisbaenians) inferred from nine nuclear protein-coding genes – Comptes Rendus Biologies: Vol. 328, #10-11, pp. 1000-1008
- ^ (EN) Comunicato stampa di Hedges e Vidal su ScienceDaily
- ^ Benton, M. J. (Michael J.), Vertebrate palaeontology, Fourth edition, ISBN 978-1-118-40755-4, OCLC 867425553. URL consultato il 10 febbraio 2021.
- ^ M. S. Y. Lee, Turtle origins: Insights from phylogenetic retrofitting and molecular scaffolds, in Journal of Evolutionary Biology, vol. 26, n. 12, 2013, pp. 2729–2738, DOI:10.1111/jeb.12268.
- ^ C. Longo, G. Longo e M. Filippini, Piante, animali, microbi, BERGAMO, MINERVA ITALICA Editrice, Bergamo, 1974, p. 206.
Anfibi
Lo stesso argomento in dettaglio: Anfibi in Italia
Amphibia
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Disambiguazione – “Anfibio” rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Anfibio (disambigua).
Gli anfibi (Amphibia Blainville, 1816) sono una classe di animali vertebrati appartenente al phylum Chordata.
Sono stati i primi vertebrati a colonizzare l’ambiente terrestre (tetrapodi) e come tali hanno avuto in passato una notevole espansione e diversificazione. Rimangono però nella maggior parte dei casi ancora estremamente legati all’acqua; lo stesso nome della classe deriva dalla fusione delle due parole greche ἀμφί, con il significato di “doppio”, e βίος, con il significato di “vita“. Tale nome è dovuto sia al fatto che il ciclo vitale degli anfibi prevede che almeno una parte della vita dell’animale venga trascorsa nel mondo acquatico sia al fatto che la maggior parte delle specie presenta una fase larvale dall’aspetto piuttosto dissimile da quello della fase adulta, alla quale l’animale giunge tramite metamorfosi.
Indice
- 1Origini ed evoluzione
- 2Anatomia
- 3Ciclo vitale
- 4Anfibi a rischio
- 5Tassonomia
- 6Note
- 7Bibliografia
- 8Voci correlate
- 9Altri progetti
- 10Collegamenti esterni
Origini ed evoluzione
[modifica | modifica wikitesto]L’origine degli anfibi è ancora avvolta nel mistero. La maggior parte dei paleontologi, in ogni caso, pensa che essi discendano direttamente da dipnoi primitivi in grado di respirare utilizzando la vescica natatoria oppure il polmone e pertanto in grado di vivere per periodi più o meno lunghi sulla terraferma.
La diversificazione fra i due gruppi sarebbe avvenuta fra i 416 ed i 360 milioni di anni fa nel periodo Devoniano.
I candidati più accreditati come progenitori degli anfibi sono i Sarcopterigi. Il rinvenimento di specie fossili come Coelacanthus ed Eusthenopteron, infatti, mostra che già molto tempo prima della comparsa degli anfibi esistevano pesci muniti di appendici simili a zampe; inoltre, osservando fossili di anfibi primitivi, come Ichthyostega e Acanthostega, appaiono numerosi punti in comune con questi pesci fossili, così come sono riscontrabili numerose omologie a livello biologico, scheletrico ed embrionale fra gli anfibi attuali ed i dipnoi, assieme ai quali vengono raggruppati a formare il clade degli Anamnia.
Attorno ai 300 milioni di anni fa, nel Carbonifero, gli anfibi si diffusero in tutto il mondo e si diversificarono in un gran numero di forme, divenendo gli organismi dominanti sulla terraferma. Gli anfibi primordiali erano tuttavia abbastanza differenti da quelli attuali.
Tra questi, il più diversificato era il gruppo dei temnospondili, che comprendeva forme: minuscole, gigantesche, acquatiche, terrestri, corazzate e munite di “vela” dorsale. Molti scienziati ritengono che alcune piccole forme di temnospondili poco specializzati possano aver dato origine alle odierne rane e rospi. Il gruppo dei lepospondili, invece, comprendeva solo animali di piccola taglia, alcuni dei quali dall’aspetto serpentiforme.
La maggior parte degli studiosi è d’accordo nel classificare tutti gli anfibi attuali come parte di un unico gruppo evoluto, i lissanfibi, separato dai due precedenti. La monofilia del gruppo, tuttavia, è tutta da dimostrare poiché mancano del tutto forme fossili intermedie che possano essere definite “antenati” del gruppo. Alcuni pongono i lissanfibi come discendenti dei temnospondili (in particolare del piccolo gruppo degli anfibamidi), altri avvicinano gli anfibi attuali ai lepospondili. La posizione degli attuali apodi, poi, è ancora tutta da chiarire.
Anatomia
[modifica | modifica wikitesto]L’anatomia degli anfibi ne fa distinguere tre tipi principali: gli anuri (greco ‘senza coda’) come rane, raganelle e rospi, gli urodeli (greco ‘coda visibile’) come tritoni e salamandre e i gimnofioni (greco ‘nudi serpenti’) anche detti apodi (greco ‘senza zampe’) come i cecilidi.
Gli anfibi appartengono ad un gruppo di tetrapodi il cui orecchio si è evoluto in modo da percepire i suoni che viaggiano nell’aria. A questo proposito, infatti, la columella è diventata un osso più sottile rispetto a quello dei tetrapodi più ancestrali ed è a contatto con una membrana di pelle detta Timpano, ben evidente sulla testa delle rane. Nell’orecchio interno, inoltre, è presente una peculiare struttura sensoriale detta Papilla anfibiorum. La cute degli anfibi è ricca di ghiandole ed altamente vascolarizzata. Sono presenti numerose ghiandole mucipare, a volte velenifere, queste spesso associate ad una colorazione vivace della cute (Aposematismo). La bocca degli anfibi è munita di piccoli denti che servono per trattenere la preda, che viene inghiottita intera.
La pelle periodicamente si stacca durante il periodo della muta e spesso viene ingerita dall’animale stesso. La pelle degli anfibi adulti è umida e ben vascolarizzata ed ha una funzione protettiva per l’animale ma anche coadiuvante i polmoni nella respirazione. Essa permette una buona perdita d’acqua per evaporazione, che comunque è compensata dagli habitat umidi in cui vivono gli anfibi. Gli arti degli anfibi sono quattro, due anteriori e due posteriori, poco sviluppati ma ben adattati al salto, soprattutto negli anuri. Il tronco corto, la parte posteriore allungata e la mancanza della coda nell’adulto, infatti, fanno sì che essi siano in grado di compiere balzi anche di un certo rilievo.
I polmoni non sono molto suddivisi all’interno, quindi lo scambio di gas non è molto efficiente, ed essi respirano quasi solo con la pelle (respirazione cutanea ) che quindi deve essere tenuta umida grazie a ghiandole specializzate o con continue immersioni in acqua.[1]Nella famiglia delle salamandre, i polmoni sono non concamerati e allungati. Alcuni urodeli possono non avere polmoni del tutto ma solo branchie esterne. L’apparato circolatorio ha come centro il cuore che ha 2 atri e un solo ventricolo, il sangue si mescola parzialmente. Il cuore degli anfibi è a tre tempi, prima il sangue arterioso ossigenato viene sospinto nell’aorta direttamente all’encefalo, il secondo battito spinge nell’aorta sangue misto che va agli organi, il terzo contenente sangue “sporco” va verso la pelle e gli eventuali polmoni o branchie esterne. Dunque la circolazione sanguigna è doppia, perché il sangue passa due volte per il cuore durante un ciclo completo, e incompleta, perché nell’unico ventricolo del cuore il sangue venoso (ricco di anidride carbonica / deossigenato) proveniente dai tessuti del corpo si mescola con quello arterioso (ricco di ossigeno / ossigenato) che arriva dagli organi respiratori.
L’apparato digerente finisce con un canale chiamato cloaca attraverso cui vengono espulsi anche gli scarti dell’apparato escretore e i gameti delle gonadi dell’apparato riproduttore.
Ciclo vitale
[modifica | modifica wikitesto]La riproduzione è legata all’acqua nella maggior parte delle specie. La riproduzione è sessuata. Negli anfibi a riproduzione acquatica, le uova sono prive di guscio e avvolte da un materiale gelatinoso, quindi devono essere deposte in acqua; le uova, a contatto con l’acqua, aumentano di volume. La fecondazione è esterna: il maschio sale sul dorso della femmina e feconda le uova man mano che questa le depone; negli organismi più evoluti la riproduzione può essere anche interna. Le uova fecondate si sviluppano in seguito in larve acquatiche chiamate girini, attrezzate di una coda ondulante per la locomozione, branchie esterne, un lungo apparato digerente e un picco corneo con cheratinizzazione variabile a seconda della dieta erbivora o carnivora del girino. La metamorfosi è graduale e comporta modificazioni nell’apparato digerente, la comparsa di zampe e polmoni, la scomparsa delle branchie e, negli Anuri, della coda. In alcuni urodeli si è persa, durante l’evoluzione, la metamorfosi.
L’axolotl è una specie di salamandra, in cui gli esemplari conservano caratteristiche larvali anche allo stato adulto. Questo fenomeno è chiamato neotenia. Se a questi animali viene iniettata tiroxina, (l’ormone della crescita tipico di tutti i vertebrati), lo sviluppo si completa con la perdita delle caratteristiche larvali menzionate e l’adozione di una vita terrestre. Numerose salamandre sono neoteniche, e alcune lo possono essere facoltativamente quando le condizioni ambientali scoraggiano lo sviluppo completo degli animali.
Un altro caso di salamandra neotenica è il proteo (Proteus anguinus), il quale, anche se trattato con tiroxina, non completa la metamorfosi.
Anfibi a rischio
[modifica | modifica wikitesto]Attualmente, nel mondo, gli anfibi sono la classe di animali con il più alto tasso di estinzioni[2].
Si calcola che delle 85 specie europee il 60% circa sia in rapido declino come numero di esemplari e la situazione italiana sarebbe tra le più gravi dal momento che l’Italia ospita un maggior numero di specie complessivo[3].
Recenti studi hanno scoperto una relazione stretta fra il calo dell’ozono nella stratosfera e la diminuzione di alcune specie di anfibi[4]. I raggi ultravioletti B si sono rivelati notevolmente dannosi per gli esseri viventi visto che alterano il patrimonio genetico. Alcune specie viventi sono in grado di riconoscere e distruggere le strutture del DNA danneggiate.
Altre specie di anfibi, invece, sono in pericolo di estinzione perché non producono sufficienti quantità di fotoliasi e quindi godono di una minore protezione all’esposizione dei raggi solari. I raggi UV incidono negativamente, sulle possibilità di sopravvivenza degli anfibi, attraverso varie modalità[4]:
- possono diminuire le difese immunitarie
- possono diminuire la quantità di insetti acquatici di cui si nutrono gli anfibi
Oltre a questa nuova causa di pericolo per la sopravvivenza degli anfibi, questi ultimi sono minacciati prevalentemente dalle seguenti cause di alterazione ambientale[4]:
- la bonifica delle zone acquatiche
- la deforestazione
- l’inquinamento e l’immissione di una lunga serie di prodotti chimici
- la diffusione di malattie batteriche
- la caccia dell’uomo ed il loro utilizzo come piatto prelibato
- l’inserimento di una nuova specie nell’habitat che alteri gli equilibri con comportamenti invasivi e distruttivi
In Italia, i due rospi più diffusi, il Bufo bufo e il Bufotes viridis si possono considerare a rischio a causa della loro abitudine di ritornare al sito riproduttivo. Questo trasferimento li porta ad attraversare strade e quindi a venire investiti dagli automobilisti. Si sono attivati gruppi di volontari per rimediare a questo problema.
Tassonomia
[modifica | modifica wikitesto]La sottoclasse Lissamphibia, che comprende gli anfibi viventi, viene suddivisa in tre ordini, per un totale di 8637 specie:[5]
- Anura Fischer von Waldheim, 1813 – senza coda, rane, rospi e raganelle (7603 sp.)
- Caudata Fischer von Waldheim, 1813 – altrimenti noti come Urodela: dotati di coda, tra cui salamandre, tritoni, geotritoni, protei (813 sp.)
- Gymnophiona Müller, 1832 – altrimenti noti come Apoda: piccolo gruppo di anfibi sotterranei privi di arti (221 sp.).
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ C. Longo, G. Longo e M. Filippini, Piante, animali, microbi, BERGAMO, MINERVA ITALICA Editrice, Bergamo, 1974, p. 206.
- ^ https://it.mongabay.com/2019/05/una-malattia-fungina-mortale-ha-eliminato-piu-di-500-specie-di-anfibi/
- ^ Jacopo Pasotti, Città, inquinamento e clima. Spariscono gli anfibi in Italia, la Repubblica, 22 settembre 2009
- ^ Salta a:a b c Andrew R. Blaustein e David B. Wake, I mutamenti ambientali e la scomparsa degli anfibi, in Le Scienze, 1995; 322: 22-28.
- ^ (EN) Frost D.R. et al., Amphibia, in Amphibian Species of the World: an Online Reference. Version 6.0, New York, American Museum of Natural History, 2014. URL consultato il 6 maggio 2023.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Origine ed evoluzione
[modifica | modifica wikitesto]- At the Water’s Edge: Fish with Fingers, Whales with Legs, and How Life Came Ashore but Then Went Back to Sea (1999), di Carl Zimmer
- The Rise of Amphibians: 365 Million Years of Evolution (2009) di Robert Carrol
- How Vertebrates Left the Water (2010), di Michel Laurin
- Your Inner Fish: A Journey into the 3.5-Billion-Year History of the Human Body (2009) di Neil Shubin
- Gaining Ground: The Origin and Evolution of Tetrapods (2012, seconda edizione aggiornata) di Jennifer A. Clack
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikiquote contiene citazioni di o su anfibio
- Wikizionario contiene il lemma di dizionario «anfibio»
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su anfibio
- Wikispecies contiene informazioni su anfibio
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) George R. Zug e William E. Duellman, amphibian, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Amphibia, in Encyclopædia Iranica, Ehsan Yarshater Center, Columbia University.
- (EN, FR) Amphibia, su Enciclopedia canadese.
- (EN) Amphibia, su Fossilworks.org.
- (EN) Amphibians, su The Visual Novel Database.
- (EN) Frost D.R. et al., Amphibia, in Amphibian Species of the World: an Online Reference. Version 6.0, New York, American Museum of Natural History, 2014.
- NicolaNitti – Tutto su rettili e anfibi, su rettilieanfibi.it. URL consultato il 16 novembre 2018 (archiviato dall’url originale il 25 luglio 2017).
- THE AMPHIBIAN TREE OF LIFE (PDF), su tutoristagni.it.
- (EN) Amphibian Diversity (PDF), su clarku.edu. URL consultato il 29 aprile 2016 (archiviato dall’url originale il 18 aprile 2016).
Pesci
Lo stesso argomento in dettaglio: Pesci in Italia
Invertebrati
La fauna italiana include 56 213 specie di invertebrati che rappresentano il 97,8% sulla ricchezza totale delle specie (i vertebrati sono il 2,2%). Di questi, 37 303 specie (circa il 65%) sono insetti. La ricchezza della biodiversità italiana è una delle più alte per uno Stato europeo. Per quanto riguarda gli insetti (i più conosciuti negli altri paesi e quindi adatti a un confronto), la ricchezza di biodiversità è la più alta in assoluto (Minelli A., 1996). Nell’Italia settentrionale (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna) sono presenti 33 414 specie di invertebrati. L’Italia peninsulare (Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata) vanta 24 297 specie. Questo potrebbe indicare un gradiente faunistico, ma per l’Italia meridionale sono disponibili dati meno completi e i biotopi sono assai differenti (Stoch F., 2004).
Fauna marina
Tipi di habitat caratteristici delle zone costiere italiane sono la biocenosi di Cystoseira e le praterie di Posidonia oceanica. Le comunità di Lithophyllum lichenoides formano reef coralligeni notevoli.
Lo stretto di Messina
Il mar Tirreno e il mar Ionio si incontrano nello stretto di Messina generando delle potenti correnti e delle forti turbolenze, aggravate dei bruschi cambi di conformazione del fondale in vicinanza della città di Messina. Di conseguenza molte specie solitamente rare nel Mediterraneo si possono trovare in gran numero nei pressi dello stretto. È piuttosto comune trovare in superficie specie tipiche delle acque più profonde e viceversa, o specie di mare aperto vicino alla spiaggia. L’acqua in risalita trascina le specie dal fondale verso la superficie fino a farle talvolta arenare sulla spiaggia. Reso famoso nel diciannovesimo secolo dagli zoologi Nikolaj Miklucho-Maklaj e Anton Dohrn, lo stretto presenta una straordinaria abbondanza di comunità planctoniche, bentoniche e pelagiche.
Migrazione lessepsiana
Dall’apertura del canale di Suez nel 1869 alcune specie invasive originarie del Mar Rosso sono diventate una componente non indifferente dell’ecosistema mediterraneo, avendo un impatto significativo sull’ecologia del Mediterraneo poiché minacciano molte specie locali ed endemiche. Circa 300 specie native del Mar Rosso sono state identificate nel Mediterraneo, ma probabilmente ce ne sono altre da scoprire. Questo fenomeno è chiamato migrazione lessepsiana.
Tropicalizzazione e meridionalizzazione del Mediterraneo
Tropicalizzazione del mar Mediterraneo
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La tropicalizzazione del mar Mediterraneo è il processo di insediamento in Mediterraneo di specie provenienti da aree tropicali o sub-tropicali in precedenza estranee a questo mare.
Indice
Cause
[modifica | modifica wikitesto]In modo simile al fenomeno della meridionalizzazione del mar Mediterraneo, la causa di questo spostamento/ampliamento di areale è stata attribuita al riscaldamento globale. In effetti, si è assistito ad un aumento degli ingressi delle specie tropicali in Mediterraneo sin dalla fine degli anni settanta, in parallelo al progressivo aumento della temperatura globale[1][2].
Biogeografia
[modifica | modifica wikitesto]Le specie tropicali penetrate in Mediterraneo appartengono a due classi principali in base alla provenienza: in alcuni casi si tratta di organismi passati attraverso il Canale di Suez, provenienti dal Mar Rosso (in questo caso si parla di migrazione lessepsiana[3] dal nome di Ferdinand de Lesseps, promotore ed esecutore del progetto del Canale di Suez) in altre di specie provenienti dalle coste africane dell’Oceano Atlantico, giunte attraverso lo Stretto di Gibilterra[2]. Esiste anche un forte contingente di specie introdotte nel Mediterraneo, sia in modo volontario (ad esempio, con la vongola Tapes philippinarum), sia per caso, soprattutto attraverso le acque di sentina delle navi, che spesso vengono scaricate in mare senza nessuna precauzione.
Le specie aliene recensite sono 955[3] (di cui 134 reputate invasive) e rappresentano il 5,9% della biodiversità del Mediterraneo (facendo esclusione di fitoplancton e microzooplancton); nel caso dei pesci, questa proporzione aumenta fino a considerare il 27,9% delle specie come originariamente estranee al Mediterraneo. Non tutte le specie nuovamente introdotte sono dovute alla tropicalizzazione però. Oltre alle specie provenienti dalle acque di sentina, un certo numero proviene dalle acque fredde del nord Atlantico; questa migrazione da settentrione è però molto minore rispetto a quella da acque tropicali o sub-tropicali (fra il 4% ed il 21%)[3].
Esempi
[modifica | modifica wikitesto]Molte specie tropicali di nuovo ingresso si sono perfettamente ambientate al punto da arrivare a soppiantare le specie autoctone e da essere comunemente pescate e commercializzate. Fra le specie di origine atlantica, vi sono: la ricciola fasciata (Seriola fasciata) e altre ricciole di origine africana (Seriola rivoliana e Seriola carpenteri), la bavosa africana ed il pesce palla (Sphoeroides pachygaster). Tra i lessepsiani si è assistito, ad esempio, ad una rapidissima colonizzazione del bacino orientale da parte della triglia (Upeneus moluccensis), del pesce scoiattolo (Sargocentron rubrum) e a varie specie del genere Siganus. La rapida diffusione dei migranti lessepsiani nell’est Mediterraneo è da attribuirsi alla povertà faunistica dei bacini orientali di questo mare, dovuta a vicissitudini biogeografiche, che ha lasciato numerosissime nicchie ecologiche libere. In effetti solo una minoranza di queste specie si è stabilita anche nel bacino occidentale, popolato da molte più specie di origine atlanto-mediterranea. Tra le specie di cui è incerta la modalità di arrivo nel Mediterraneo merita una citazione il granchio Percnon gibbesi originario delle acque tropicali americane sia dell’Atlantico che del Pacifico. Da una prima segnalazione nel 1999 nell’isola di Linosa[4] è giunto a colonizzare nel 2016 tutte le coste mediterranee con notevoli abbondanze[5].
Anche i vegetali sono soggetti a questo tipo di espansione di areale, ben due alghe del genere Caulerpa (C.taxifolia e C.racemosa) entrambe di origine tropicale sono state accidentalmente introdotte e si sono diffuse nel Mediterraneo, mettendo a rischio habitat importanti come le praterie di Posidonia oceanica. Perfino un’angiosperma marina (Halophila stipulacea) è da annoverarsi tra i migranti lessepsiani.
Merita infine di essere menzionata la presenza del nudibranco Melibe fimbriata, specie originaria dell’oceano Indiano, segnalata per la prima volta nel Mediterraneo nel 1984[6].
Biocostruzioni
[modifica | modifica wikitesto]Nel Mediterraneo sono note almeno tre specie di madrepore dotate di zooxanthelle e capaci di biocostruzioni: Cladocora caespitosa, Madracis pharensis, autoctone, e Oculina patagonica introdotta dal traffico navale probabilmente dall’oceano Atlantico sudoccidentale. Tutte e tre le specie sono presenti in tutto il Mediterraneo e non hanno mostrato tendenza a formare biocostruzioni simili a quelle presenti nei mari tropicali. Con l’aumento delle temperature queste specie mostrano la tendenza ad aumentare la crescita e la fissazione di carbonato di calcio. Per quanto riguarda C. caespitosa esiste un record fossile che mostra come nel passato geologico durante le fasi “calde” del Mediterraneo la specie tendesse a formare biocostruzioni di maggiori dimensioni[2].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Belkin, I.M., Rapid warming of Large Marine Ecosystems, in Progress in Oceanography, vol. 81, n. 1-4, 2009.
- ^ Salta a:a b c Bianchi, C. N, & Morri, C., Global sea warming and “tropicalization” of the Mediterranean Sea: biogeographic and ecological aspects, in Biogeographia – The Journal of Integrative Biogeography, vol. 24, 2003, DOI:10.21426/B6110129. URL consultato il 27/05/2021.
- ^ Salta a:a b c Zenetos, A., Gofas, S., Verlaque, M., Çinar, M. E., Garcia Raso, J. E., Bianchi, C. N., … & Streftaris, N, Alien species in the Mediterranean Sea by 2010. A contribution to the application of European Union’s Marine Strategy Framework Directive (MSFD). Part I. Spatial distribution (abstract), in Mediterranean Marine Science, vol. 11, n. 2, Hellenic Centre for Marine Research (HCMR), 2010, DOI:10.12681/mms.87.
- ^ Relini M, Orsi L, Puccio V and Azzurro E, The exotic crab Percnon gibbesi (H. Milne Edwards, 1853) (Decapoda, Grapsidae) in the central Mediterranean, in Scientia Marina 2000; 64: 337-340.
- ^ Gianluca Stasolla, Valentina Bertuccio e Gianna Innocenti, The end of the run? New evidence of the complete colonization of the Mediterranean Sea by the Atlantic invader crab Percnon gibbesi (Crustacea: Decapoda: Percnidae), in Journal Journal of Mediterranean Ecology, vol. 14, 2016, pp. 63, 69. URL consultato il 28/05/2021.
- ^ Francesco Turano, Melibe fimbriata – Emigrante lessepsiano, in MondoMarino.net.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Adattamenti opportunistici di specie ittiche nel Mediterraneo e in Adriatico (PDF), su arpa.emr.it. URL consultato il 7 novembre 2014 (archiviato dall’url originale il 7 novembre 2014).
- (EN) CIESM Atlas of exotic species in the Mediterranean, su ciesm.org.
Meridionalizzazione del mar Mediterraneo
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La meridionalizzazione del mar Mediterraneo è la tendenza degli organismi marini termofili ad affinità subtropicale tipici delle coste meridionali del mar Mediterraneo ad ampliare o spostare il proprio areale verso regioni più temperate dove in precedenza erano assenti o molto rari.
Indice
- 1Cause
- 2Esempi
- 3Effetti ecologici
- 4Tropicalizzazione e meridionalizzazione
- 5Note
- 6Voci correlate
- 7Collegamenti esterni
Cause
[modifica | modifica wikitesto]Il fenomeno in questione è collegato con quello più generale del riscaldamento globale[1], in effetti negli ultimi 15-20 anni si è assistito ad un incremento delle presenze di organismi di acque calde nei bacini settentrionali dei mari italiani[2]. Questa connessione è però ancora in fase di studio, infatti solo alcune delle molte specie termofile hanno raggiunto le coste nord del mar Mediterraneo mentre molte altre, in apparenza simili per esigenze ambientali, non hanno manifestato significativi ampliamenti dell’areale. Infine, altre specie in precedenza assenti dal Mediterraneo hanno fatto il loro ingresso improvviso diffondendosi poi in pochi anni in tutto il bacino, ad esempio il pesce palla Sphoeroides pachygaster[3].
Esempi
[modifica | modifica wikitesto]Una delle più cospicue specie che hanno negli ultimi anni raggiunto le coste italiane è il barracuda Sphyraena viridensis che è ormai molto comune su tutte le coste. Anche il labride dalla vistosa livrea Thalassoma pavo fino agli anni ’90 fa era diffuso solo nelle acque dell’estremo sud ma si poteva dire comune solo presso Lampedusa e le Isole Pelagie, ad oggi si osserva di frequente e con regolarità fino a tutto il Mar Ligure (ma non nel nord Adriatico)[4]. Il pesce pappagallo Sparisoma cretense, era limitato fino agli anni ’90 alle acque del canale di Sicilia è ormai abbastanza comune nell’Arcipelago Toscano[5]. Il corallo coloniale dalla vistosa colorazione arancio Astroides calycularis, specie termofila conosciuta storicamente solo per il Mediterraneo sudoccidentale non più a nord dell’isola di Ponza, ha mostrato a partire dagli anni ’90 un’espansione verso nord che lo ha portato a colonizzare le isole Tremiti, l’arcipelago Toscano e a formare piccoli nuclei di colonizzazione perfino nell’Adriatico settentrionale[6]. Infine uno sparide che ha espanso fino al mar Ligure il suo areale precedentemente limitato alle acque meridionali è il sarago faraone. Queste specie sono vistose e spesso catturate dai pescatori sportivi o osservate da subacquei ma ce ne sono molte altre, soprattutto tra gli invertebrati e le alghe, di sicuro meno visibili ma di non minore interesse biogeografico[7].
Effetti ecologici
[modifica | modifica wikitesto]Oltre all’ampliamento verso nord dell’areale di specie termofile parallelamente si assiste alla retrocessione di quello delle specie di origine boreale o di alcune di esse sia verso settori più settentrionali del bacino sia verso maggiori profondità. Questo può creare una minaccia per specie endemiche mediterranee di affinità boreale che potrebbero estinguersi nel medio periodo[2]. Tra di esse varie specie di interesse economico come il nasello, lo scampo e varie specie di razze, tutte specie boreali che riescono a vivere nel Mediterraneo solo in aree e a profondità in cui l’acqua si mantiene all’interno di un intervallo accettabile[4].
Tropicalizzazione e meridionalizzazione
[modifica | modifica wikitesto]Lo stesso argomento in dettaglio: Tropicalizzazione del mar Mediterraneo.
Un fenomeno diverso è quello della tropicalizzazione del mar Mediterraneo che consiste nell’ingresso, dallo Stretto di Gibilterra o dal Canale di Suez, di specie ad affinità tropicale mai segnalate in precedenza nel Mediterraneo. Anche questo fenomeno è ben documentato: esso riguarda in genere le coste sud ed est anziché quelle italiane.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Bianchi, C. N, & Morri, C., Global sea warming and “tropicalization” of the Mediterranean Sea: biogeographic and ecological aspects, in Biogeographia – The Journal of Integrative Biogeography, vol. 24, 2003, DOI:10.21426/B6110129. URL consultato il 27/05/2021.
- ^ Salta a:a b Some like it hot – or how Mediterranean marine species face global warming with diverse fortunes – CIESM.org, su ciesm.org. URL consultato il 27 maggio 2021.
- ^ (EN) Scheda di Sphoeroides pachygaster, su CIESM Atlas of Exotic Fishes in the Mediterranean Sea. URL consultato il 27 maggio 2021.
- ^ Salta a:a b Paula Moschella, The new CIESM Tropicalization Programme – effectsof climate warming on Mediterrsnean key taxa (PDF), Climate warming and related changes in Mediterranean marine biota – Helgoland 27/31 May 2008. URL consultato il 27 maggio 2021.
- ^ (EN) Daniele Ventura, Francesco Colloca e Giandomenico Ardizzone, Settlement evidence of the Mediterranean parrotfish Sparisoma cretense (Teleostei: Scaridae) in the Central Tyrrhenian Sea (Giglio Island, Italy), in BioInvasions Records, vol. 8, n. 2, 2019, p. 413 e p. 418, DOI:10.3391/bir.2019.8.2.23. URL consultato il 29/05/2021.
- ^ (EN) L. Musco, C. Pipitone , D. Agnetta , A. Alagna , G. D’Anna , G. Di Stefano , V.M. Giacalone , M. Gristina , F. Prada , T. Vega Fernández e F. Badalamenti, Distribution of the orange stony coral Astroides calycularis along the Italian coasts (PDF), in Biologia Marina Mediterranea, vol. 23, n. 1, 2016, p. 204 e p. 206. URL consultato il 29/05/2021.
- ^ Carlo Nike Bianchi , Francesco Caroli , Paolo Guidetti e Carla Morri, Seawater warming at the northern reach for southern species: Gulf of Genoa, NW Mediterranean, in Journal of the Marine Biological Association of the United Kingdom,, vol. 98, n. 1, 2018, p. 1 e p. 12, DOI:10.1017/S0025315417000819. URL consultato il 27/05/2021.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) CIESM Atlas of exotic species in the Mediterranean, su ciesm.org.
- Adattamenti opportunistici di specie ittiche nel Mediterraneo e in Adriatico (PDF), su arpa.emr.it. URL consultato il 7 novembre 2014 (archiviato dall’url originale il 7 novembre 2014).
Specie aliene e introdotte
[modifica | modifica wikitesto]La fauna italiana è ricca di specie aliene[3] e introdotte. Alcune di esse risalgono ai tempi dell’Impero romano, come ad esempio la carpa.
Fauna del Pleistocene
[modifica | modifica wikitesto]I grandi mammiferi italiani del Pleistocene provenivano principalmente dalle zone più fredde dell’Europa settentrionale. Specie tipiche sono:
- Orso delle caverne
- Leone delle caverne
- Ippopotamo europeo
- Uomo di Neanderthal
- Mammut lanoso
- Mammut meridionale
- Palaeoloxodon antiquus
- Rinoceronte lanoso
- Megalocero
Elefanti nani
[modifica | modifica wikitesto]Gli elefanti nani del Pleistocene si sono evoluti a seguito di un processo di nanismo insulare in Sardegna:
e in Sicilia e a Malta
Altri animali del Pleistocene ritrovati in queste isole sono:
Conservazione
[modifica | modifica wikitesto]L’Italia ha 20 parchi nazionali e 130 parchi regionali. Inoltre sono state istituite delle riserve nazionali (circa 150 zone protette da leggi dello stato), riserve regionali (un totale di 270 aree protette da leggi regionali) e 16 riserve marine.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Salta a:a b Annuario Dati Ambientali ISPRA 2018 (PDF), su annuario.isprambiente.it.
- ^ Salta a:a b Checklist of the Italian Fauna, su faunaitalia.it.
- ^ Specie aliene invasive in Italia, su www2.units.it. URL consultato il 29 luglio 2011 (archiviato dall’url originale il 7 maggio 2013).
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) M. Dobson, Mammal distributions in the western Mediterranean: the role of human intervention, in Mammal Review, vol. 28, n. 2, 1998, pp. 77-78.
- Alessandro Minelli, La fauna in Italia, Roma, Toruing Editore e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2002.
- A. Minelli, La checklist delle specie della fauna italiana. Un bilancio del progetto, in Bollettino del Museo Civico di Storia naturale di Verona, vol. 20, 1996, pp. 249-261.
- F. Bernini, G. Doria, E. Razzetti, R. Sindaco, Atlante degli Anfibi e dei Rettili d’Italia, Polistampa, 2006.
- (EN) D. Logozzo, E. Bassi, L. Cocchi, Crossing the sea en route to Africa: autumn migration of some Accipitriformes over two central Mediterranean Islands, in Ring, vol. 26, n. 2, 2004, pp. 71-78.
- (EN) F. Stoche, How many endemic species? Species richness assessment and conservation priorities in Italy, in Belgian Journal of Entomology, vol. 2, 2000, pp. 125-133.
- F. Stoche, Banche dati e distribuzione della fauna italiana: gli invertebrati, in Quaderni di Conservazione della Natura, vol. 18, 2004, pp. 21-36.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Geografia della Repubblica Italiana
- Fauna della Sardegna
- Rettili in Italia
- Anfibi in Italia
- Farfalle e falene endemiche dell’Italia
- Flora italiana
- Specie animali endemiche dell’Italia
Musei di zoologia
[modifica | modifica wikitesto]I musei che contengono importanti collezioni della fauna italiana e che hanno gallerie pubbliche dedicate alla fauna sono:
- Il Museo di storia naturale di Trieste
- Il Museo della Specola di Firenze
- Il Museo di storia naturale di Ferrara
- Il Museo di storia naturale di Genova
- Il Museo di storia naturale di Milano
- Il Museo di storia naturale di Pavia
- Il Museo civico di zoologia di Roma
- Il Museo civico di Rovereto
- Il Museo di scienze naturali di Bergamo
- Il Museo di storia naturale di Firenze
- Il Museo regionale di scienze naturali di Torino
- Il Museo di storia naturale di Pisa
- Il Museo tridentino di scienze naturali di Trento
- Il Museo di Zoologia di Napoli
- Il Museo paleontologico di Montevarchi
- Il Museo di Storia Naturale di Verona
Associazioni zoologiche italiane
[modifica | modifica wikitesto]- Lega Italiana Protezione Uccelli
- Unione zoologica italiana
- Accademia nazionale italiana di entomologia
- Società entomologica italiana
- Societas Herpetologica italica
- Associazione primatologica italiana
- Associazione teriologica italiana
- Società italiana per lo studio e la conservazione delle libellule – ODONATA.IT
- Centro studi cetacei
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su fauna italiana
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- FaunaItalia, su faunaitalia.it.
- Faune Europaea, su faunaeur.org. URL consultato il 29 luglio 2011 (archiviato dall’url originale il 23 aprile 2008).
- (EN) Wild wonders of Europe – Galleria di immagini
- (EN) Biodiversity Hotspots, su biodiversityhotspots.org. URL consultato il 29 luglio 2011 (archiviato dall’url originale il 9 gennaio 2010).
- (EN) Fishbase – Pesci d’Italia
- (EN) Living National Treasures – Italy, su lntreasures.com.
- (EN) European marine life, su european-marine-life.org.
- EBN Italia – Il birdwatching italiano, su ebnitalia.it.
- Mondomarino – Galleria fotografica
- Federazione Nazionale Pro Natura, su pro-natura.it.
- Conchiglie del Mediterraneo, su conchigliedelmediterraneo.it.
- www.faunaitalia.it – Checklist delle specie appartenenti alla fauna italiana.
- Ministero dell’Ambiente: Guida alla fauna di interesse comunitario, su minambiente.it. URL consultato il 21 dicembre 2007 (archiviato dall’url originale il 2 marzo 2008).
Lo stesso argomento in dettaglio: Biodiversità in Italia.