Riti, celebrazioni e momenti di comunità
Introduzione
La cultura contadina calabrese è stata scandita per secoli da un calendario di feste religiose e profane che segnavano il passaggio delle stagioni e il ciclo della vita. Queste celebrazioni erano momenti di aggregazione fondamentali, dove il lavoro lasciava spazio alla condivisione, alla musica e ai rituali tramandati di generazione in generazione.
Ancora oggi molte di queste tradizioni resistono nei borghi della Calabria, preservando un legame profondo con la terra e con il passato.
Feste e Rituali Legati all’Agricoltura
La Festa della Vendemmia
Settembre e ottobre erano mesi di grande fermento per i contadini, impegnati nella raccolta dell’uva. La vendemmia non era solo un lavoro, ma un’occasione di festa:
- Le famiglie si riunivano nelle vigne per raccogliere i grappoli a mano.
- Si cantava e si ballava mentre i grappoli venivano pigiati nei palmenti di pietra.
- Il mosto veniva conservato in botti di legno e, in alcune case, si preparava il mosto cotto, utilizzato per dolci e conserve.
Dopo la vendemmia, si festeggiava con pranzi abbondanti, accompagnati dal primo assaggio del vino novello.
La Raccolta delle Olive
Un altro momento fondamentale era la raccolta delle olive, tra ottobre e dicembre. Anche qui il lavoro si trasformava in un evento collettivo:
- Le olive venivano raccolte a mano o con lunghi bastoni.
- Si trasportavano nei frantoi, dove la spremitura a freddo regalava il prezioso olio extravergine d’oliva.
- Dopo la molitura, si festeggiava con pane caldo, olio nuovo e peperoncino.
L’olio d’oliva era considerato un bene prezioso, simbolo di ricchezza e abbondanza.
Il Ciclo del Grano: Dalla Semina alla Mietitura
Il grano era il fondamento dell’alimentazione contadina e il suo ciclo produttivo era accompagnato da tradizioni secolari:
- La semina in autunno era spesso accompagnata da preghiere per ottenere un buon raccolto.
- La mietitura, a giugno-luglio, era un lavoro durissimo, ma anche un momento di festa.
- Dopo la trebbiatura, si organizzavano grandi banchetti con pane, formaggi e vino.
Un detto calabrese diceva: “Chi tene u granu, tene u pani e la vita” (Chi ha il grano, ha il pane e la vita).
L’Uccisione del Maiale: Un Rito di Comunità e Sopravvivenza
La ‘Mmazzata do Puarcu e il Ciclo dell’Autoproduzione
Introduzione
Nella cultura contadina calabrese, la macellazione del maiale, conosciuta come “‘mmazzata do puarcu”, non era solo un atto di sussistenza, ma un evento sociale che coinvolgeva intere famiglie e vicini. Ogni parte dell’animale veniva utilizzata con sapienza, e la lavorazione delle carni dava origine a prodotti fondamentali per la dieta invernale.
La Preparazione e il Giorno della ‘Mmazzata
La crescita del maiale era un processo lungo e meticoloso: veniva allevato con cura e alimentato con avanzi di cucina, crusca e ghiande. Il giorno della macellazione, solitamente tra dicembre e gennaio, era una vera festa.
- La giornata iniziava presto, con gli uomini addetti alla macellazione e le donne impegnate nella preparazione degli utensili e degli ingredienti per la lavorazione.
- Dopo l’uccisione, il maiale veniva dissanguato e scuoiato, mentre il sangue veniva raccolto per la preparazione del sanguinaccio.
- Il capo famiglia pronunciava spesso una frase rituale, ringraziando il maiale per il sostentamento che avrebbe dato alla famiglia.
La Lavorazione delle Carni e i Prodotti Tipici
Ogni parte dell’animale aveva una destinazione precisa:
- Salsicce e soppressate: insaccate con cura, spesso aromatizzate con peperoncino e finocchietto.
- Capicolli e pancette: messe sotto sale e poi appese per la stagionatura.
- Frittole e curcùci: pezzi di carne e grasso cotti a lungo nel proprio strutto e conservati per mesi.
- Zampetti, cotenne e ossa: utilizzati per zuppe e minestre saporite.
- Strutto: ricavato dalla fusione del grasso, era essenziale per cucinare e conservare altri alimenti.
Il Momento di Festa e la Condivisione
Dopo il duro lavoro, si organizzava un grande pranzo con piatti a base di carne fresca, come il soffritto e la carne alla brace. Il vino scorreva abbondante, e spesso si suonava la tarantella con organetto e tamburello.
L’uccisione del maiale non era solo una pratica alimentare, ma un rituale che rafforzava i legami familiari e comunitari. Ancora oggi, in molti borghi calabresi, questa tradizione viene mantenuta viva come patrimonio culturale e simbolo di un’epoca in cui l’autoproduzione era la base della sopravvivenza.
Le Feste Religiose e i Riti Sacri
Natale: La Notte della Tradizione
Il Natale contadino era un momento di raccoglimento e condivisione:
- La sera della Vigilia si accendeva il “ceppo”, un grande tronco che bruciava tutta la notte come simbolo di buon auspicio.
- Si preparava un cenone semplice ma significativo, con baccalà, legumi e dolci come i turdilli e la pitta ‘mpigliata.
- A mezzanotte, le famiglie si recavano alla Messa del Gallo e i pastori suonavano la zampogna.
La Settimana Santa e i Riti Pasquali
La Pasqua era vissuta con grande intensità, tra fede e tradizione. In alcuni paesi i momenti più importanti erano:
- Le processioni dei “Vattienti” (Flagellanti), a Nocera Terinese, in cui i devoti si percuotevano le gambe in segno di penitenza.
- L’Affruntata, una rappresentazione sacra in cui si inscenava l’incontro tra la Madonna e Cristo Risorto.
- Il pranzo di Pasqua con agnello al forno e la tipica cuzzupa, un dolce con l’uovo simbolo di rinascita.
La Festa del Patrono
Ogni paese calabrese aveva il suo santo patrono, celebrato con processioni, fuochi d’artificio e sagre. Alcune delle feste più celebri sono:
- San Francesco di Paola, patrono della Calabria, festeggiato il 2 aprile e il 4 maggio con grandi pellegrinaggi.
- San Rocco, invocato contro le epidemie, celebrato con processioni e danze popolari.
- La Madonna della Montagna di Polsi, meta di pellegrinaggi nella Aspromonte.
Le feste patronali erano momenti di unità, in cui fede e folclore si intrecciavano.
Le Feste Pagane e le Tradizioni Popolari
La Notte di San Giovanni (23-24 Giugno)
Considerata una notte magica, in cui si intrecciavano antichi riti pagani e cristiani.
- Le donne raccoglievano erbe medicinali, credendo che avessero poteri curativi.
- Si preparava l’acqua di San Giovanni, con fiori e rugiada, per purificare il corpo e l’anima.
- In alcuni borghi si saltavano falò come rito di buon auspicio.
Il Carnevale Contadino
Il Carnevale era l’occasione per sovvertire le regole e festeggiare con canti e balli:
- Si indossavano maschere grottesche per prendersi gioco dei potenti.
- Si organizzavano matrimoni finti e processi burleschi.
- Il martedì grasso si consumavano grandi quantità di carne, prima dell’austerità della Quaresima.
Un detto calabrese recitava: “Carnalivari è la festa i li pazzi” (Il Carnevale è la festa dei pazzi).
Conclusione
Le feste della cultura contadina calabrese erano molto più di semplici celebrazioni: rappresentavano il legame profondo con la terra, il senso di comunità e la fusione tra sacro e profano.
Ancora oggi, queste tradizioni sono vive nei borghi calabresi, testimoniando la ricchezza culturale di un popolo che ha saputo conservare la propria identità attraverso i secoli.