
Testo.
Origini del nome
Si ritiene che il nome del paese derivi dal greco àprichos, άπριχος, o dal latino apricus
Storia
È stata avanzata l’ipotesi che nel luogo siano esistiti insediamenti in epoca precedente o contemporanea alla colonizzazione magnogreca; esistono comunque reperti archeologici di epoca bizantina. Probabilmente già nel decimo secolo erano presenti monaci basiliani. In epoca normanna, fra i secoli XI e XII, visse San Leo, il patrono del paese; secondo la tradizione, egli nacque a Bova e prima di diventare monaco studiò nel convento basiliano della SS. Annunziata di Africo.
Nel 1571 Gabriele Barrio scrive che ad Africo i riti sacri sono celebrati in greco e che la popolazione adopera il greco anche nei rapporti familiari, assieme al latino.
Nel 1783 Africo fu seriamente danneggiata da un forte terremoto che causò sei morti e danni per ottantamila ducati. Alla fine del secolo XVIII aveva circa 800 abitanti e vi si osservava il rito greco. In epoca napoleonica vi si ebbe uno scontro tra francesi e borbonici, in cui gli abitanti parteggiarono per questi ultimi. Nell’Ottocento fu attivo nel territorio il brigante Antonio Zemma. La popolazione di Africo e Casalnuovo ammontava complessivamente a 1.726 persone nel 1815; nel 1861 il solo paese di Africo aveva 1.276 abitanti; ne ebbe 1781 nel 1911 e 2489 nel 1951. Altri due sismi colpirono il borgo calabrese nel 1905 e nel 1908.
Le condizioni sociali e sanitarie di Africo nel periodo interbellico erano assai difficili. Il meridionalista Umberto Zanotti Bianco, coadiuvato dal giovane Manlio Rossi Doria, si recò ad Africo nel 1928 e da questa visita trasse un resoconto (pubblicato solo nel dopoguerra), nel quale scriveva che il paese era annidato in case molte delle quali erano dirute per il terremoto del 1908, isolato geograficamente, afflitto da tasse indiscriminate e da malattie, privo di medico, di aule scolastiche adeguate (tanto che – scrive Zanotti Bianco – le lezioni della seconda e terza elementare riunite si svolgevano nella stanza da letto della maestra); sempre secondo Zanotti Bianco, gli abitanti si nutrivano, per alcuni mesi all’anno, di un pane fatto con farina di lenticchie, cicerchie e orzo.
Il 20 gennaio 1944 la popolazione di Africo assaltò con armi da fuoco e distrusse con bombe a mano la locale caserma dei carabinieri, costringendo i tre o quattro militi presenti a rifugiarsi negli scantinati e liberandoli solo dopo averli disarmati. In questo periodo si costituirono nel paese la sezione del Partito socialista, quella del Partito comunista e la Camera del lavoro[.
Nel marzo 1948 il settimanale “L’Europeo” pubblicò un reportage da Africo a firma del giornalista Tommaso Besozzi, corredato da alcune fotografie di Tino Petrelli; tale reportage (che faceva parte di un’ampia inchiesta sulle condizioni del Mezzogiorno promossa da Arrigo Benedetti) mostrava come le condizioni del paese non fossero sostanzialmente migliorate rispetto a quelle descritte vent’anni prima da Zanotti Bianco.
Casalnuovo
Sorto su di un costone roccioso a destra del torrente Apòscipo, a circa 737 metri sul livello del mare, questo borgo contava, alla fine del secolo XVIII, circa 600 persone (in prevalenza agricoltori e pastori) e faceva parte del feudo dei Carafa di Roccella. Il santo patrono, diverso da quello degli africesi, era San Salvatore. Cronache risalenti al diciottesimo secolo fanno cenno ad una comunità di monaci in Casalnuovo, dapprima professanti il rito greco ma che poi abbandonarono tale rito. Durante l’Ottocento nel territorio di Casalnuovo furono attivi i briganti Fortunato Mollica, Vittorio Marrapodi e Bruno Palamara.
Il paese fantasma
L’alluvione del 1951 e le vicende successive
Fra il 14 e il 18 ottobre del 1951 una violenta alluvione devastò Africo e Casalnuovo, causando tre vittime ad Africo e sei a Casalnuovo nonché ingenti danni materiali. Su ordine delle autorità i due paesi semidistrutti furono evacuati; la popolazione fu alloggiata per pochi giorni nelle scuole elementari di Bova, per poi, alla fine di ottobre, essere trasferita a Gambarie e da lì provvisoriamente distribuita in vari altri comuni della provincia (fra i quali Reggio Calabria, Bova Marina e Palmi[18]; in particolare gli abitanti di Casalnuovo, i quali erano rimasti più a lungo nel loro abitato originario, dopo l’ordine di sgombero furono provvisoriamente alloggiati a Bova Marina e a Palmi). Più di mille persone furono allocate in baracche di legno a Reggio Calabria, in contrada Lazzaretto di Condera, dove in gran parte rimasero fino ai primi anni sessanta. Tutti i rifugiati ricevettero per qualche tempo un sussidio.