Vibo Valentia

Posizione geografica (mappa interattiva o coordinate GPS)

Coordinate: 38°40′31″N 16°05′45.24″E

Altitudine: 476 m. s.l.m

Superfice: 46,57 km²

Abitanti: 30.986 (30-6-2024)

Densità: 665,36 ab./km²

Frazioni:

I Circoscrizione

  • Longobardi
  • San Pietro (nota anche come San Pietro di Bivona)

II Circoscrizione

  • Vena Superiore
  • Vena Media
  • Vena Inferiore
  • Triparni

III Circoscrizione

  • Piscopio

IV Circoscrizione

  • Vibo Valentia Marina
  • Bivona
  • Portosalvo

V Circoscrizione

Vibo Valentia (Centro Cittadino)

Paesi confinanti:

Briatico, Cessaniti, Filandari, Francica, Mileto, Jonadi, Pizzo, San Gregorio d’Ippona, Sant’Onofrio, Stefanaconi.

Vibo Valentia, già Monteleone fino al 1863 e Monteleone di Calabria dal 1863 al 1928 è un comune italiano e capoluogo dell’omonima provincia in Calabria.

Conosciuta nell’antichità come Hipponion (Ἱππώνιον), importante città della Magna Grecia su cui sorse poi la colonia romana di Valentia. Fu un centro fortificato greco-bizantino durante l’Alto Medioevo e passato successivamente sotto dominio dei normanni. Col nome di Monteleone fu capoluogo della Calabria Ulteriore fra il 1582 e il 1593 e poi nuovamente fra il 1806 e il 1816. Diventa capoluogo nel 1992, a seguito di una partizione della provincia di Catanzaro.

Geografia fisica

Territorio

La posizione della città, adagiata sul pendio di un colle, ha assunto nel corso del tempo un’importanza strategica in ambito territoriale, fu crocevia sin dai tempi dell’antica Grecia e dell’impero romano.

Idrografia

Il fiume più importante del territorio comunale è il Mesima, che nasce alle pendici del monte Mazzucolo (942 m) e sfocia nel mar Tirreno a nord di San Ferdinando, località tra Nicotera (VV) e Rosarno (RC).

Storia

Lo stesso argomento in dettaglio: Dal Neolitico alla fine dell’impero romano Hipponion

Dal Medioevo al secolo XIX

Dopo la fine dell’impero romano i bizantini provvidero a fortificarla, anche se i saraceni l’attaccarono e saccheggiarono più volte. Nell’XI secolo Ruggero I di Sicilia sebbene pose i suoi accampamenti a Vibo, in seguito trasferì la sede della diocesi, presente a Vibo fin dal V o IV secolo, a Mileto. Inoltre in questo periodo, Ruggero smantellò colonne e marmi degli antichi edifici per utilizzarli a Mileto nella costruzione di altri edifici. Federico II di Svevia passando dalla città, rimasto impressionato per la bellezza e il potenziale strategico del luogo (Nicolai de Jamsilla, De rebus gestis Federici II imperatoris), diede l’incarico al “secreto” di Calabria, Matteo Marcofaba, di ricostruirla e ripopolarla cambiando il nome in Monteleone.

In questo periodo fu realizzata la prima fase del castello, sotto gli Angioini la città acquisì ancora più prestigio e prosperità, divenendo serie del vicario reale. Sempre nello stesso periodo venne ulteriormente rafforzato e ingrandito il castello e la cinta muraria medievale. In seguito fra il periodo Angioino e Aragonese, divenne Feudo dei Caracciolo e poi comune demaniale. Nel 1501, usurpando quelli che erano i diritti della città, venne affidata nuovamente come feudo ai Pignatelli. Per questo scoppiò una rivolta per il quale dovette intervenire il generale Lo Tufo del regno di Napoli. Quest’ultimo non riuscendo a domarla, chiamò per discutere i sette capi del popolo che vennero uccisi a tradimento. Qualche anno dopo, la monteleonese Diana Recco che aveva perso un fratello e il padre nella rivolta, uccise a pugnalate il generale Lo Tufo che stava partecipando alla cerimonia di matrimonio di una delle figlie. In ogni caso i Pignatelli pensarono allo sviluppo della città, creando filande, oleifici e favorendo molte attività artigianali.

Nel XVII secolo, Monteleone fu uno dei centri serici più produttivi della regione dove si svolgeva un importante mercato della seta che aveva come destinazione Napoli o Cava dei Tirreni.

Nell’Ottocento i francesi la elevarono a capoluogo della Calabria Ultra e da allora fino a pochi decenni addietro fiorirono tanti mestieri, il cui ricordo è nel nome di strade (Via Forgiari, via Chitarrari, via Argentaria, ecc.) e di istituzioni come il Real Collegio Vibonese (l’ancora esistente Convitto Filangieri e il teatro Comunale, demolito negli anni sessanta). Dopo il ritorno dei Borbone la città perse il ruolo di capoluogo e la sua importanza politica ed economica venne ridimensionata. Durante le guerre per l’Unità d’Italia, Garibaldi passò da Monteleone dove ottenne aiuti materiali e finanziamenti da parte degli abitanti. Nel 1861, dopo l’Unità d’Italia, il nome della città venne cambiato in Monteleone di Calabria, nel 1927 con regio decreto ispirato dal governo fascista che diverrà effettivo il 13 gennaio 1928, ribattezzando la città da Monteleone di Calabria a Vibo Valentia, secondo l’antica dizione latina.

Cosa vedere

Architetture religiose

  • Chiesa di Santa Maria Maggiore e San Leoluca (Duomo): edificata nel Seicento sui resti di un’antica basilica bizantina del IX secolo, è stata restaurata dopo il terremoto del 1783 su progetto di Francesco Antonio Coratoli e sotto la supervisione di Emanuele Paparo. Il suo impianto è a croce latina con unica navata. Il suo interno è coperto da una volta a botte con dipinti di Emanuele Paparo e stucchi sette-ottocenteschi. L’ingresso principale in bronzo, con un portale in granito, è ricco di decorazioni, opera dello scultore Giuseppe Niglia, che narrano le vicende storiche della città. All’interno vi sono opere di pregio quali l’altare maggiore settecentesco in marmo policromo di Francesco Raguzzini, da cui spicca una scultura cinquecentesca a tutto tondo della Madonna della Neve attribuita ad Annibale Caccavello, e un trittico marmoreo rinascimentale, opera dell’artista Gagini, raffiguranti la Madonna delle GrazieSan Giovanni Evangelista e Santa Maria Maddalena, ove è anche possibile scorgere lo stemma della potente famiglia dei Pignatelli. All’interno della cupola, sui pennacchi di questa, sono presenti dei dipinti di Giulio Rubino che raffigurano i quattro Evangelisti.
  • Santuario della Madonna della Salute (chiesa di Santa Ruba): sorge a metà strada fra Vibo e uno dei paesi satelliti della stessa (San Gregorio d’Ippona). Di origini antiche (venne costruita attorno all’anno 1000 sotto papa Callisto II), presenta una cupola d’ispirazione orientale. È detto Chiesa di Santa Ruba dalla località Santa Ruba dove esso sorge.
  • Chiesa del Rosario: costruita nel 1337 in stile gotico, nella locazione di un preesistente teatro romano fu annessa al convento dei frati minori conventuali. La chiesa, fu più volte ricostruita in seguito a cataclismi (come il terremoto del 1783) e conserva dell’originale stile gotico la cappella De Sirica Crispo; è retta dall’omonima arciconfraternita e conserva all’interno diversi quadri dell’artista locale Giulio Rubino nonché cinque statue lignee policrome dei misteri dolorosi e un Cristo Risorto opera di Ludovico e Domenico Rubino (fratelli del pittore Giulio) che vengono portate in processione durante la Settimana Santa.
  • Chiesa del Carmine: risalente al Seicento con annesso il convento, venne ricostruita attorno al 1864 a navata unica in forma ovale. Il convento fu per molto tempo l’ospedale cittadino del popolo.
  • Chiesa di Santa Maria degli Angeli: costruita tra il 1621 e il 1666, dapprima annessa al convento dei frati minori riformati (oggi Convitto Nazionale), è dal 1866 curata dai padri cappuccini. Conserva all’interno un Crocifisso ligneo detto “degli Angeli” di ignoto autore del ‘600, meta di migliaia di devoti che si recano ogni anno, per antica tradizione, in pellegrinaggio nei venerdì di marzo. In più due quadri attribuiti a Luca Giordano e la scultura Madonna con Bambino di Michelangelo Naccherino.
    Chiesa di San Michele
  • Chiesa di San Michele: si ha traccia di questa antica chiesa, esempio di architettura rinascimentale, dalla data dell’8 agosto 1519, quando il vescovo di Mileto, Andrea Della Valle, la elevò a parrocchia. Il campanile, su probabile disegno di Baldassarre Peruzzi, a torre quadrata, con tre ordini sovrapposti, aveva un orologio il cui meccanismo è stato ritrovato sul posto e sarà conservato in un museo, all’interno vi è un quadro di Luca Giordano San Michele che scaccia Lucifero. Presente anche un dipinto di Ludovico Mazzanti Estasi di sant’Ignazio.
  • Chiesa di San Giuseppe: voluta dai Padri Gesuiti e annessa al collegio da loro ivi fondato, venne edificata sulla base di un progetto di Francesco Grimaldi e fu aperta al culto nel 1701 col titolo di Sant’Ignazio o del Gesù; conserva all’interno numerose opere pittoriche tra cui La visione di sant’Ignazio e scultoree come il gruppo ligneo di San Giuseppe sull’altare maggiore; è sede parrocchiale unitamente alla vicina chiesa di San Michele e vi è tuttora attiva la Confraternita di Gesù, Maria e Giuseppe che cura tra l’altro la suggestiva processione della Madonna Desolata la notte del Venerdì Santo.
  • Chiesa dello Spirito Santo: edificata nel 1579, è tuttora sconsacrata al culto; fu il primo duomo della città prima della costruzione dell’attuale, nonché sede straordinaria e dimora, nel 1613, dell’allora vescovo Virgilio Cappone. Conservava al suo interno molte opere artistiche che, alla sua chiusura furono spostate in altre chiese della città; la parrocchia di cui era sede fu trasferita, pur mantenendo lo stesso titolo, nella vicina chiesa di Santa Maria La Nova.
  • Chiesa Santa Maria la Nova: costruita nel 1521 con il nome di Santa Maria di Gesù dal duca Ettore Pignatelli, ne custodisce il sarcofago. Si presenta attualmente con stili diversi e ospita al suo interno un marmo del Gagini. Durante la dominazione napoleonica fu adibita a stalla e deposito militare, fu restaurata e riaperta nel 1837 per volontà di Enrico Gagliardi. All’interno presenti opere del pittore fiammingo Dirk Hendricksz.
  • Chiesa di Santa Maria del Soccorso: costruita originariamente attorno al 1632, venne rifatta nel 1791 su disegni di Bernardo Morena.
    La Madonnella: piccola cappella costruita sul sito dell’antico convento dei cappuccini, chiamato appunto “li cappuccini vecchi”; annualmente vi si celebra il culto della Madonna del Buon Consiglio e di sant’Anna.
  • Chiesa di Sant’Antonio di Padova: chiesa del XVII secolo annessa al convento dei Frati Minori Cappuccini; all’interno è possibile osservare una tela di Luca Giordano, la Madonna col bambino tra i santi Anna e Felice, e il quadro l’Immacolata con i santi Francesco e Antonio di Padova di Pacecco De Rosa. Di grande interesse è, inoltre, una statua di legno di Sant’Antonio da Padova, scolpita a tutto tondo e a figura intera, dipinta al naturale, opera settecentesca di Ludovico Rubino.
  • Chiesa di Sant’Omobono: è situata nel centro storico in località Cerasarella. Ha una sola navata, con annessa una sacrestia composta da due piccoli vani. La chiesa risale al XVII secolo, al suo interno è presente una statua di legno policroma della Madonna della Conciliazione e della Cintura di Fabrizio Frangipane del 1726. Nel 2007, durante i lavori di restauro, nella parte centrale dell’unica navata della chiesetta, sono stati rinvenuti i muri di un’edicola funeraria.
  • Chiesa della Madonna dei poveri: edificata nel 1839 a spese del sacerdote Giuseppe Colace, è adiacente alla porta urbica medievale del “Conte d’Apice”. Ha un unico vano con soffitto piano. A destra si eleva un campanile a vela. All’interno della chiesa sono presenti il dipinto Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dell’artista ucraino Yuriy Kuku, e due dipinti dell’artista Antonio La Gamba che rappresentano il Figlio di Dio morto e risorto. Questi due ultimi dipinti sono stati realizzati su tela di juta.

Architetture militari

  • Porta e torre del Conte d’Apice (porta della cinta urbica medievale)
  • Arco Marzano (porta della cinta urbica medievale)
  • Castello normanno-svevo: il castello sorge dov’era ubicata probabilmente l’Acropoli di Hipponion che in parte si estendeva pure sulla collina vicina. Nonostante la prima fase di costruzione della struttura venga volgarmente attribuita all’età normanna, in realtà, essa risale al periodo svevo quando Matteo Marcofaba governatore della Calabria venne incaricato da Federico II di ripopolare e favorire lo sviluppo della città. il castello venne ampliato da Carlo d’Angiò nel 1289 quando assunse più o meno un aspetto simile a quell’odierno. Fu rafforzato dagli Aragonesi nel XV secolo e infine rimaneggiato dai Pignatelli tra il XVI-XVII secolo, perdendo quasi del tutto la funzione militare e assumendo invece quella di abitazione nobiliare. Il secondo piano fu demolito di proposito, in quanto pericolante, a causa dei danni riportati dopo il terremoto del 1783. Il castello presenta oggi delle torri cilindriche, una torre speronata e una porta a un’arcata di epoca angioina. È oggi sede del Museo archeologico statale. Delle ultime due fasi rimangono, almeno in pianta 8 torri circolari. Qualcuna di esse si è conservata oltre le fondamenta, in particolare una che raggiunge circa i 4 metri di altezza. Queste torri dovevano essere alte in origine circa 10 metri.
  • Il castello di Bivona: venne fatto edificare nella prima metà del Quattrocento da Mariano d’Alagno fratello di Ugone e di Lucrezia, governatore di Monteleone, a difesa del porto. Il castello ha una pianta più o meno rettangolare con quattro torri circolari agli angoli. Venne abbandonato alla fine del Seicento per la formazione di paludi nelle vicinanze. Da allora il castello è rimasto in totale stato di abbandono.

Architetture civili

  • Palazzo Capialbi: Sito in via Ruggero il Normanno, ai piedi del Castello, il palazzo, di 1500 m², è stato costruito alla fine del XVII – inizi del XVIII secolo, su preesistenti costruzioni del ‘400 e ‘500 forse appartenenti ai Pignatelli e al governo di Monteleone. Presenta una facciata in muratura mista, a vista, su cui si apre il portale d’ingresso con arco a tutto sesto in granito, formato da conci diversamente lavorati. Al suo interno è custodita una ricca collezione archeologica e un’importante biblioteca, tra cui spicca un foglio autografo di Giacomo Leopardi, ospite in passato del palazzo, contenente la poesia da egli composta, L’infinito.
  • Palazzo Cordopatri: Il palazzo fu fatto costruire da Antonino Cordopatri nel 1784, su alcuni ruderi di un’antica costruzione del 600 andata distrutta durante il terremoto del 1783. Ubicato nella via omonima, sorge nel cuore della Vibo vecchia ed è una fra le prime costruzioni sorte dopo il 1783, come è evidenziato dagli elementi decorativi neoclassici del prospetto principale. Lo stato di conservazione dell’edificio, soprattutto della parte centrale, è pessimo. Lesioni, parti mancanti, crepe, umidità stanno avendo il sopravvento sulle strutture murarie interne ed esterne.
  • Palazzo Romei: Il palazzo, ubicato in via F. Cordopatri, venne costruito alla fine del Quattrocento da Giovanni Andrea Romei su progetto di Leon Battista Alberti. L’edificio ha la forma di un parallelogramma, posto su tre livelli. Di una bellezza particolare sono i suoi balconcini con ringhiera in ferro battuto a “pancia”, realizzati con listelli volutiformi e applicazioni floreali. All’interno è visibile un affresco con lo stemma gentilizio della famiglia Sacco, in possesso del palazzo dalla metà del 1600 al 1730.
  • Palazzo di Francia: Il palazzo sorge sulla parte più alta di via Gioacchino Murat, via che prese questo nome per la presenza del Murat in casa del Marchese, durante il suo breve regno. L’edificio di 1800 m², ricorda vagamente alcune ville vesuviane del Settecento, come villa Campolieto e villa De Gregorio a Roma, per alcuni spunti della facciata, e per la concezione dell’atrio opposto all’entrata del parco. Elementi vanvitelliani concorrono a darne un gusto chiaramente classico. Il palazzo da poco più di un decennio è sottoposto a vincolo di tutela unitamente al parco.
  • Palazzo Gagliardi: Alla fine del XVIII secolo, sull’area occupata precedentemente dalla chiesa dei Santi Marco e Luca, sorgeva il primo palazzo Gagliardi, di dimensioni ridotte e che aveva pregevoli pitture di Emanuele Paparo e Michele Pagano. Nel 1860 vi soggiornò Giuseppe Garibaldi, come è ricordato da una lapide sull’attuale facciata. L’edificio venne demolito nel XIX secolo per dar posto a un altro più grande. Fu donato nel 1952-53 all’Associazione per il Mezzogiorno per utilizzarlo a scopi culturali e successivamente dall’associazione passò al Comune della città. In passato ha ospitato il Museo archeologico, attualmente è sede dell’Istituto Italiano di Criminologia.
  • Palazzo Marzano: il palazzo sorge al centro del quartiere Marzano, nei pressi della chiesa di San Michele. È di proprietà della famiglia Marzano sin dal 1658. Il palazzo a forma di E, ha un certo valore artistico soprattutto per il bellissimo portale d’ingresso, formato da una serie di cornici allineate verticalmente. Nella struttura del palazzo non sono state effettuate modifiche sostanziali. Un piccolo intervento si ebbe nel 1700 quando, per motivi di eredità, venne realizzata una parete divisoria nella sala principale.
  • Palazzo Stagno d’Alcontres: il palazzo apparteneva alla famiglia di Francia, quando nel 1927 confluì nel patrimonio della famiglia messinese degli Stagno per lascito testamentario del cavaliere Antonio di Francia alla nipote Teresa Stagno d’Alcontres.
  • Palazzo Gagliardi – oggi Murmura: Il palazzo fu fatto costruire dai Marchesi Gagliardi, passando poi all’attuale famiglia in seguito al matrimonio di un rappresentante della stessa con Antonietta Gurgo vedova Gagliardi. A due piani, di 1700 m², sorge su piazza Garibaldi, fra il palazzo Gagliardi e la chiesa di Santa Maria degli Angeli. Al piano terra due ampi portali con arco a tutto sesto immettono, attraverso un imponente androne, negli appartamenti padronali
  • Palazzo Froggio: Fatto costruire alla fine del ‘700 dal Barone Domenico Antonio Froggio (i Froggio vennero conosciuti fino ad ottocento inoltrato come “Baroni di Santo Stefano”) ed è appartenuto a questa famiglia fino al 2013. È situato in via Marconi (antica piazza di Majo). Si tratta di una palazzina che richiama, non certo per la sontuosità, l’architettura civile settecentesca napoletana (forse unico esempio di questo stile tra i palazzi vibonesi). Degni di rilievo sono l’atrio e la bella scalinata.
  • Villa Cordopatri

Siti archeologici

  • Mura greche di Hipponion: Situate in località Trappeto Vecchio, sono le mura difensive della città della Magna Grecia Hipponion. Si distendono per circa 500 metri e sono costituite da blocchi squadrati di arenaria e calcarenite del VI secolo a.C. per la prima fase costruttiva. I blocchi sono disposti a doppio paramento con muretti trasversali di collegamento, il riempimento interno è in argilla.
  • Terme e domus romane di Vibonia: Situate in località Sant’Aloe. Constano di un impianto termale riferito alla città romana di Vibonia del II secolo d.C. e diverse domus, di una è presente il peristilio, quasi tutte pavimentate con mosaici policromi. Il complesso termale è articolato in frigidariumcalidarium e palestra, forse connesso a un’abitazione a carattere pubblico. L’impianto termale è arricchito da diversi mosaici policromi figuranti divinità, creature mitologiche o animali.
  • Tempio dorico di Persefone: Rinvenuto da Paolo Orsi nel 1916, è situato all’interno del Parco delle Rimembranze, località Belvedere Grande-Telegrafo, tempio periptero riferibile al VI-V secolo a.C. Le dimensioni sono di 17,10 × 37,45 m.
  • Tempio ionico di Kore-Persefone-Demetra: In località Cofino sono presenti i resti archeologici di un tempio ionico dedito al culto di Persefone e Demetra. A Cofino sono stati portati alla luce i resti di un tempio ionico (fine V-inizi IV secolo a.C.). Sono stati ritrovati due depositi sacri, uno individuato da strutture e l’altro da statuette raffiguranti Demetra, madre di Persefone, con i tradizionali attributi del porcellino e della fiaccola a croce. Il santuario ubicato sull’altura del Cofino fu utilizzato dalla fine del VI secolo a.C. e almeno fino al IV secolo a.C.; il sito sembra essere stato abbandonato in pieno periodo romano, quando nella zona furono costruite alcune abitazioni.
  • Necropoli greca: Sita in località Scrimbia, una necropoli del VII secolo a.C. da cui provengono numerosi reperti ospitati all’interno del Museo archeologico statale Vito Capialbi.
  • Tempio dorico Cava Cordopatri: Sito nei pressi della Cava Cordopatri, nelle immediate vicinanze del Castello normanno-svevo, è un tempio dorico, naiskos, databile al V secolo a.C.
  • Battistero paleocristiano, edificio ellenico, domus romana di Piazza San Leoluca: Situati in piazza San Leoluca, sono stati scoperti il 5 febbraio 2014 durante i lavori di rifacimento della piazza. Gli scavi hanno messo in luce le vestigia di un edificio di epoca ellenica, una domus romana di età imperiale ornata con un mosaico e un battistero di epoca paleocristiana, scoperta di particolare interesse unica nel suo genere in Calabria.
  • Fornaci romane: Sito archeologico rinvenuto nel 2009 al di sotto del palazzo municipale, in piazza Martiri d’Ungheria, durante i lavori di ampliamento di questo. Si tratta di un intero quartiere artigianale di epoca Romana comprensivo di tre fornaci di diverso tipo, un pozzo e una cava di estrazione dell’argilla.

• Resti di strutture abitative dell’età ellenistica: Situata all’interno della Villa comunale “Nazzareno Cremona” è presente un’area rettangolare, 12 metri per 4, ove sono visibili resti di strutture murarie pertinenti a più unità residenziali del periodo ellenistico riferibili a più epoche storiche databili tra gli ultimi decenni del V e gli inizi del IV secolo aC e gli ultimi decenni del IV e il II secolo a.C.

Aree naturali protette

  • Parco Marino Regionale Fondali di Capocozzo – S. Irene – Vibo Marina – Pizzo Calabro – Capo Vaticano e Tropea, (noto anche come Parco Marino Regionale Costa degli Dei, istituito con Legge Regionale n. 13 del 21 aprile 2008). La sede del Parco Marino Regionale è a Vibo Valentia.

Parchi urbani

  • Villa comunale “Nazzareno Cremona” (già Villa Regina Margherita)
  • Villa Gagliardi (classica villa gentilizia con strutture architettoniche e artistiche per lo più andate perdute, vegetazione italiana e alberi secolari)
  • Parco Botanico palazzo Di Francia
  • Parco Urbano, quartiere Moderata Durant
  • Parco delle Rimembranze, Piazza d’Armi (con stele dedicata all’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi)

Cultura

Marco Tullio Cicerone a Vibo Valentia

(LA)

«Ipsis autem Valentinis ex tam Illustri Nobilique Municipio […]»

(IT)

«Ai delegati, poi, Valentini (di Vibo Valentia) uomini di così Illustre e Nobile Municipio […]»

(Marco Tullio Cicerone, Verrine, Vv 16)

Marco Tullio Cicerone sostò a Vibo Valentia nel 71 a.C., nel 58 a.C. e nel 44 a.C. La fonte storica di queste soste è lo stesso Cicerone, che ne dà dettagliate notizie nelle Lettere e nelle Verrine.

Busto marmoreo di Cicerone (Musei Capitolini)

Nel 71 a.C. sostò a Vibo durante il suo viaggio verso la Sicilia, dove si recò accompagnato dal cugino Lucio Tullio per raccogliere prove e testimonianze relative al processo contro il pretore Verre. Si fermò alcuni giorni nella città, venendo a conoscenza di numerosi dettagli per l’accusa. La zona costiera di Vibo Valentia, infatti, soffrì gravi danni a causa delle incursioni piratesche da parte di gruppi di Italici con cui Verre era connivente. A tal proposito, nel processo Cicerone disse:

(LA)

«Ipsis autem Velentinis ex tam illustri Nobilique Municipio tantis de rebus responsum nullum dedisti, cum esses cum tunica pulla et pallio»

(IT)

«Ai delegati, poi, di Vibo (ai Valentini) uomini di così illustre e nobile Municipio non desti alcuna risposta su un argomento di tanta importanza, avendo addosso una tunica oscura, dell’umile gente, e il pallio»

(Cic. Verr., V, 16)

La sosta del 58 a.C., presso la villa dell’amico Sicca, è documentata invece nella lettera ad Attico: Cicerone, nel marzo dello stesso anno lascia Roma su consiglio dello stesso Attico per sfuggire alla lex Clodia. Nella lettera, scritta nel viaggio tra Capua e Vibo si legge:

(LA)

«Utinam illum diem videam, quam tibi agam gratias, quod me vivere coegisti! Adhuc quidem valde me poenitet. Sed oro, ut ad me Vibonem stastim venias, quo ego multis de causis converti iter meum. Sed eo si veneris, de toto itinere ac fuga mea consilium capere potero. Si id non faceris mirabor, sed confido te esse facturum»

(IT)

«Voglia il cielo ch’io veda il giorno in cui mi sia dato di ringraziarti per avermi persuaso a vivere. Fino ad ora certamente non ho che da pentirmene amaramente, ma vorrei pregarti di venire subito a Vibona (Vibo), verso cui, per molte ragioni, ho dovuto mutar cammino. Se verrai, potrò prendere una decisione su tutto il viaggio e sul luogo dell’esilio. Se non farai così, rimarrò dolorosamente stupito. Ma confido che lo farai»

(Cic. Att., III, 3)

Alla morte di Cesare, Cicerone viene richiamato a Roma, ma deve di nuovo partire a causa della pericolosa situazione venutasi a creare nello scontro con Antonio. È così che nel 44 a.C. sosta nuovamente a Vibo da dove scrive ad Attico:

(LA)

«[..] perveni enim Vibonem ad Siccam [..] Ibi tamquam domi mea scilicet [..]»

(IT)

«[..] sono giunto a Vibona presso Sicca [..] qui mi pareva di essere a casa mia [..]»

(Cic. Att. XVI, 6)

Eventi

  • Nel 2021 la città è stata nominata Capitale italiana del libro dal ministro della cultura Dario Franceschini.

    Dove mangiare

    Dove dormire

    Come arrivare

    In autostrada con l’automobile:

    Percorrendo l’autostrada le uscite più vicine al centro di Vibo Valentia sono:

    • Uscita S.Onofrio – Vibo Valentia | A2 autostrada del Mediterraneo | Salerno-Reggio Calabria | 5,72 km  in linea d’aria dal centro
    • Uscita Serre – Soriano Calabro | A2 autostrada del Mediterraneo | Salerno-Reggio Calabria | 7,82 km  in linea d’aria dal centro

    In auto :

    Per il calcolo del miglior percorso stradale per come andare a Vibo Valentia è proporre il luogo della partenza per il viaggio tramite la mappa.

    Nessun dato al momento

    In treno:

    Per arrivare a Vibo Valentia in treno la soluzione migliore è utilizzare un treno con destinazione o fermata a:

    Stazioni con classe almeno Silver:

    • Stazione di Vibo Valentia-Pizzo •• | sita in località Stazione Vibo-Pizzo Vibo Valentia | è gestita da rfi (600s) e dista 5,63 km  in linea d’aria dal centro
      Vibo Valentia – Pizzo, 89900 Stazione Vibo-pizzo VV, Italia

    In stazione è possibile usufruire di bus e di servizi navetta per arrivare alla propria destinazione.

    In Vibo Valentia sono presenti anche stazioni minori:

    Stazioni Bronze :

    Stazione di Vibo Marina • | sita in località Vibo Marina Vibo Valentia | è gestita da rfi e dista 4,63 km  in linea d’aria dal centro.

    In stazione è possibile usufruire di bus e di servizi navetta per arrivare alla propria destinazione.

    Nessun dato al momento

    Gli aeroporti più vicini a Vibo Valentia sono quelli di:

    • SUF – Aeroporto di Lamezia Terme situato a circa 29 km  in linea d’aria.
      L’aeroporto di Lamezia si trova a circa 10 Km dal centro di Lamezia.
    • REG – Aeroporto di Reggio Calabria situato a circa 77 km  in linea d’aria.
      L’aeroporto di Reggio si trova a circa 5 Km a Sud di Reggio Calabria.

    Da tutti e 2 gli scali è possibile:

    • raggiungere le rispettive stazioni ferroviarie e da li lì proseguire il viaggio in treno, verso Vibo Valentia
    • prendere un auto a noleggio per andare ad Vibo Valentia
    • utilizzare un bus per dirigersi ad Vibo Valentia

    Meteo

    Attività

    Cultura

    Musei e Biblioteche

    Biblioteche

    • Biblioteca Comunale
    • Biblioteca “Vito Capialbi”
    • Biblioteca Sistema Bibliotecario Vibonese
    • Biblioteca Archivio di Stato di Vibo Valentia
    • Biblioteca Liceo “Morelli”
    • Archivio di Stato
    • Archivio Storico Comunale
    • Archivio “Marchesi Caracciolo”
    • Archivio Storico Morelli

    Musei

    • Museo archeologico statale Vito Capialbi, fondato nel 1969, dal 1995 è ubicato nelle sale del Castello Normanno-Svevo. All’interno del museo è possibile trovare reperti archeologici rinvenuti in varie aree della città, soprattutto relativi alle epoche greca e romana. Attenzione particolare merita la laminetta aurea, databile al V-IV secolo a.C., la più completa nel testo tra quelle rinvenute in Magna Grecia, che dà indicazioni topografiche e comportamentali nell’Ade per i trapassati appartenenti al culto misterico orfico-dionisiaco.
    • Museo dell’arte Sacra, contiene una raccolta 150 pezzi tra opere d’arte del Duomo e pezzi provenienti da donazioni private. Di particolare interessi una “Madonna col Bambino” e “San Luca” e alcune statue in marmo di Antonello Gagini, 10 statuine in bronzo dorato di Cosimo Fanzago, 5 plastici di Francesco Jerace, un dipinto di scuola senese del 1508 raffigurante Santa Caterina. Sono conservati anche paramenti sacri e argenti.
    • Museo dei marchesi di Francia, comprende una notevole collezione di artisti di scuola napoletana operanti tra il XVII e il XIX secolo, degni di nota i quadri di Luca Giordano e interessanti opere paesaggistiche della scuola di Salvator Rosa. Il palazzo fu la residenza del Re di Napoli Gioacchino Murat durante i suoi lunghi soggiorni in Calabria.
    • Museo della tonnara
    • Museo della civiltà contadina
    • Museo di arte contemporanea Limen
    • Casa Museo Maria e Antonino Murmura

    Teatri

    • Teatro Comunale
    • Teatro Salesiano
    • Teatro Valentini (attualmente dismesso)

    Tradizioni e folclore

    Persefone

    La mitologia racconta che là, dove l’aspro sperone del monte Ipponio si protende sul mare di Lampetia, la giovane dea Persefone-Kore, figlia di Zeus e di Demetra, fu rapita un giorno da Ade che la costrinse a seguirlo nell’Ades su un carro trainato da cavalli furenti. Il padre Zeus dispose che trascorresse i mesi dell’inverno nell’Ade e i mesi estivi sulla terra. In quel luogo fu innalzato un tempio e le fanciulle dell’antica Veip (odierna Vibo Valentia), in primavera, vestite a festa, con la testa cinta di fiori, rendevano omaggio alla dea.

    Diana Recco

    Diana Recco fu una leggendaria eroina monteleonese (vibonese) del XVI secolo. In quel periodo Vibo Valentia era sotto il dominio della signoria del tiranno Del Tufo, il quale represse duramente una rivolta facendo giustiziare a morte sette cittadini ed esponendo le loro teste sui torrioni del castello. Diana Recco, sorella e figlia di due dei rivoltosi che furono uccisi, si fece vendetta dopo dieci anni dall’evento pugnalando Del Tufo.

    Azzo duce di Calabria

    Azzo duce di Calabria alla testa di mille Valentini rigettò in mare le orde Saracene che volevano distruggere la romana Valentia. Per celebrare la vittoria, per un arco di tempo di venti anni, Vibona Valentia tramutò il nome in “Millarmi”.

    I riti della Pasqua

    In passato il mercoledì Santo veniva celebrata l’Opera Sacra, cioè la passione vivente di Cristo. Il giovedì Santo, le chiese allestiscono i “Sepolcri” (altare della reposizione) che, dopo la Missa in Coena Domini, ricevono il pellegrinaggio di migliaia di persone. La tradizione, in particolare, vuole che se ne visitino in numero dispari. Il venerdì Santo, dalla chiesa del Rosario esce la processione dei Misteri Dolorosi tradizionalmente chiamata dei “Vari” dove sfilano le statue che raffigurano i vari momenti della Passione e Morte di Cristo accompagnate dalla banda che intona delle marce funebri. A tarda sera, molto suggestiva è la Processione della Madonna Desolata, partendo dalla chiesa di San Giuseppe con musica e lumi ad acetilene seguita da una marea di popolo commosso e silenzioso che accompagna per le strade cittadine la statua dell’Addolorata. La domenica di Pasqua, infine, ha luogo la cosiddetta Affruntata: tra due ali di folla la Madonna Addolorata e San Giovanni vanno alla ricerca del Cristo Risorto. Il momento più suggestivo è dato dall’incontro tra la Madonna e il Cristo Risorto: nell’attimo dell’incontro, infatti, alla statua della Madonna viene strappato il velo nero, segno del lutto, per far spazio a un vestito azzurro e bianco, simbolo della festa della Resurrezione. La tradizione vuole che, se il velo nero rimane al suo posto, grandi sciagure attendono la città. È per questo motivo che la comparsa del vestito azzurro e bianco viene salutata con un lungo applauso liberatore; segue poi una breve processione con le tre statue.

    Costume

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    Dialetto

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    Numeri utili

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