Leucosia, Ligea e Partenope

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Leucosia

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Leucosia (in greco antico: Λευκωσία?) è una sirena e una figura della mitologia greca e romana.

Il mito di Leucosia

Secondo il mito greco, Leucosia era il nome di una delle tre ancelle della dea Persefone, con la quale vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia). Leucosia e le sue sorelle rappresentavano una vera e propria minaccia per i marinai. Annidate sugli scogli, con la dolcezza del loro canto ammaliavano i naviganti che costeggiavano le sponde del Tirreno, dal Circeo a Scilla; i naviganti perdevano il controllo delle navi e facevano naufragio, finendo per essere divorati. Nella tradizione figurativa e in quella letteraria, le sirene sono generalmente tre: Partenope (‘quella che sembra una vergine’), Leucosia (‘quella che ha candide membra’) e Ligea (‘la melodiosa dalla voce incantevole’). Esse sarebbero state mutate in uccelli da Demetra per punirle di non aver aiutato la loro compagna di giochi Persefone (figlia di Zeus e Demetra), quando Ade (il dio degli inferi) la rapì mentre insieme a loro stava cogliendo fiori, trascinandola nell’Averno.[1] Il poeta ellenistico Licofrone, nel suo enigmatico poema Alessandra, è il primo a raccontare la storia della sirena Leucosia e delle sue sorelle. Secondo Licofrone esse operano insieme ma quando Odisseo rifiuta di fermarsi al loro canto le costringe al suicidio. Si gettano in mare dall’alto di una rupe e il mare conduce i loro corpi in luoghi diversi.[2]

Leucosia e Punta Licosa

Il corpo di Leucosia emerse nelle acque del golfo di Poseidonia (Paestum) da cui il nome di Leucosia dato a un’isoletta presso quella città, Punta Licosa.[1] A Castellabate, dove Leucosia si arenò, ogni anno si tengono i “Concerti sull’acqua” dedicati alla sirena. Le manifestazioni musicali si svolgono dinanzi all’isolotto di Licosa (punta estrema del golfo di Salerno nel comune di Castellabate) con la partecipazione di un complesso di musica sinfonica. In quell’area la memoria della Sirena Leucosia è avvertita sin dall’epoca greco-romana, ed è testimoniato anche da una delle quattro porte di Paestum chiamata Porta Serena ed aperta ad Oriente.[3]

“Sul promontorio Enipeo, scagliata con violenza, Leucosia occuperà per molto tempo lo scoglio col suo nome, dove il rapido Is ed il vicino Lari versano le loro acque”.[4]

Note

  1. ^ Salta a:a b Villella, Vincenzo, Scheria, la terra dei Feaci, Lamezia Terme (Catanzaro), Stampa Sud, 2004.
  2. ^ La Greca, Fernando, La sirena Leucosia, l’isola di Licosa, la Lucania antica. Mito, Storia e risorse del Cilento, Acciaroli (Salerno), Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2010, ISBN 9788890231780.
  3. ^ Parlato, Antonio, Ulisse e le Sirene di Positano, Napoli, Edizione Colonnese, 2006.
  4. ^ Licofrone di Calcide (III sec. a.C.), Alessandra, vv. 723-725 (da M. Bettini, L. Spina, Il mito delle Sirene, Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino, Einaudi Editore, 2007, ISBN 9788806178048)

Bibliografia

  • Fernando La Greca, La sirena Leucosia, l’isola di Licosa, la Lucania antica. Mito, storia e risorse del Cilento, Acciaroli (Salerno), Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2010, ISBN 9788890231780
  • Licofrone di Calcide (III sec. a. C.), Alessandra, vv. 723-725 (da M. Bettini, L. Spina, Il mito delle sirene, Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino, Einaudi Editore, 2004, ISBN 9788806178048)
  • Antonio Parlato, Ulisse e le Sirene di Positano, Napoli, Gremese Editore, 2006
  • Vincenzo Villella, Scheria, la terra dei Feaci, Lamezia Terme (Catanzaro), Stampa Sud, 2004

Voci correlate

Ligea

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Ligea (in greco antico: Λιγεία?Lighèia) è una figura della mitologia greca dal canto ammaliatore, raffigurata con busto di donna e con corpo di uccello con coda e ampie ali;[1] è una sirena che con le sue doti canore e di seduzione attrae e uccide ignari gli uomini, trascinandoli nel mare.

Il mito di Ligea

Nella tradizione figurativa e in quella letteraria le sirene sono generalmente tre, si tratta delle sorelle: PartenopeLeucosia e Ligea.[2] La mitologia classica ha fatto costantemente riferimento alle sirene come una sorta di “muse del mare” dal dolcissimo e ammaliante canto che attirava i naviganti prima nell’oblio della loro patria e dei loro più cari affetti e poi conducendoli alla rovina.[3] Il mito venne introdotto sulle coste tirreniche dai coloni greci che vi si stabilirono a partire dall’VIII secolo a.C. Esse vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia) ed erano compagne di giochi di Persefone, alla quale stavano insieme anche quando Ade, dio degli Inferi, l’aveva rapita. Fu Demetra a trasformarle in sirene, come punizione per non aver cercato di impedire il ratto della figlia.[2] La storia della sirena Ligea e delle sue consorelle Partenope e Leucosia è narrata dal poeta ellenistico Licofrone nel poema Alessandra. Nei suoi versi racconta la tragica fine della sirena che si gettò in mare dall’alto di una rupe in seguito al passaggio di una nave uscita indenne dal suo canto ammaliante.[4]

Ligea e Terina

Le onde del mar Tirreno avrebbero rigettato il corpo di Ligea sulla riva tirrenica della Calabria, presso Lamezia Terme o Terina. Secondo gli studi condotti da Michele Manfredi-Gigliotti (Cfr. bibliografia in calce), Ligea si arenò sulla spiaggia della città di Terina, nei pressi della foce del fiume Ocinaro (oggi denominato Savuto), dove i Terinei eressero, a ricordo dell’avvenimento, un sepolcro. Il luogo degli eventi, secondo Manfredi-Gigliotti, non si identifica con l’odierna Lamezia Terme, bensì con il Piano di Terina ove sorgeva la città magno-greca, in territorio di Nocera Terinese.

Sono moltissimi gli autori antichi che hanno scritto di avere visto, e letto, l’epitaffio sul cenotafio della sirena Ligea, vicino al fiume Savuto (un tempo Ocinaro).Questo epitaffio rinvenuto sulla tomba ( rectiuscenotafio) della sirena Ligea è stato un rompicapo per archeologi, linguisti, storici e studiosi in genere, per circa ottocento anni, sin quando, nel giugno del 2022, il nodo gordiano della decifrazione letterale non è stato sciolto dallo studioso Michele Manfredi-Gigliotti. L’epitaffio, nel suo contenuto letterale, esplicito e non acronimo, è:

Ligea Qanei Zwsa Dwdekamenos Rw..

Ligea- LIGEA; Qanei-MUORE (con valore di presente storico); Zwsa-VISSUTA (participio passato da zaw-VIVERE); Dwdekamenos-DODICI MESI); Rw=R’-Valore numerico della Rw= CENTO.

Traduzione definitiva: Ligea muore che visse cento anni (infatti, cento moltiplicato per dodici mesi, dà il risultato di milleduecento mesi, ossia cento anni).

Terina città della Magna Grecia, eretta dai Crotoniati nel VI secolo a.C., storicamente vide i suoi abitanti dispersi da Annibale nel 203 a.C., e la sua vera e propria fine nel 950 d.C. ad opera dei Saraceni, che la distrussero durante una delle loro incursioni sulle coste calabre[1].

Sulle splendide monete coniate a Terina, alcune delle quali sono ritenute dei capolavori della numismatica antica, c’è la più antica testimonianza delle acque termali di Caronte. Infatti, sul dritto c’è impresso il dolce profilo di una fanciulla alata mentre riempie un vaso d’acqua ad una sorgente che sgorga dalla testa di un leone, chiara simbologia iconografica di una fonte sacra. Si tratta della rappresentazione del simulacro della sirena Ligea (la melodiosa), la cui salma, sospinta dalle onde del Tirreno, fu gettata sulla spiaggia del golfo lametino dove ricevette onorata sepoltura dalle pietose mani dei naviganti e a cui più tardi i terinei elevarono culto religioso.

La sirena avrebbe rappresentato la personificazione della città di Terina (che significa ‘la tenera’). La sirena Ligea, raffigurata con un busto di donna con le braccia nude ed il corpo di uccello con coda e ampie ali, compare in varie monete di Terina, seduta su un cippo mentre gioca con una palla, oppure mentre riempie un’anfora con l’acqua che sgorga dalla bocca di un leone. Inoltre Ligea compare in statue isolate ed in rilievi ad ornamento di tombe, in genere mentre suona la cetra, oppure in vasi dipinti, mosaici, pitture e sarcofagi romani.

Sulle monete di Terina, la figura alata di Ligea è accompagnata da alcuni attributi caratteristici di Afrodite, evidentemente attributi della divinità trasferiti alla sacerdotessa della stessa. Infatti su una faccia c’è una fanciulla alata che reca in mano una colomba o una lepre e un ramoscello di mirto, sull’altra faccia una figura muliebre alata, assisa su un poggio e volta a sinistra, che stringe nella mano sinistra un caduceo e con la destra tiene un’anfora appoggiata sulle ginocchia, nella quale cade l’acqua che scorre da una testa di leone (simbolo di una fonte) situata su una muraglia di pietre e ai piedi si vede un cigno nuotante nella fontana. La colomba, la lepre e il ramoscello di mirto sono i simboli di Afrodite attribuiti alle sue alate sacerdotesse (dette ierodule). Alla schiera delle ierodule si possono ascrivere le sirene, ossia le fanciulle che incantavano col fascino della loro voce e dei loro amorosi richiami i naviganti.[5]

«E Ligea pertanto sarà sbalzata presso Terina sputando acqua di mare; e i naviganti la seppelliranno nella
sabbiosa spiaggia presso le rapide correnti dell’Ocinaro; e questo, forte nume dalla fronte cornuta, con le sue
acque bagnerà il sepolcro e tergerà il busto dell’alata fanciulla […]. Altri, stanchi di vagare penosamente di
qua e di là, si stanzieranno nel paese di Terina, dove bagna la terra l’Ocinaro versando le sue limpide acque
nel mare.[6]»

In questi versi il nome di Ligea e quello di Terina appaiono associati e la fonte e l’anfora simboleggiano il fiume Ocinaro (l’attuale Bagni) che attraversa Caronte e che con le sue acque tergeva il sepolcro della sirena. Dunque, il mito di Ligea, cantato da Licofrone, è legato all’esistenza di Terina, portata alla luce nell’area denominata Jardini di Renda posta a sud di Caronte a poca distanza, interrata dalle piene del Bagni dopo la sua distruzione ad opera di Annibale.[5]

Nel 1998 nella Piazzetta S. Domenico, a Nicastro è stata inaugurata una statua, opera dell’artista Dalisi, dedicata alla sirena Ligea.[1]

Note

  1. ^ Salta a:a b c Le Piane, Fausta Genziana, Incontri con Medusa, Soveria Mannelli (Catanzaro), Calabria Letteraria Editrice, 2000.
  2. ^ Salta a:a b Izzi, Massimo, Dizionario Illustrato dei Mostri, Roma, Gremese Editore, 1989, ISBN 8876054499.
  3. ^ Parlato, Antonio, Ulisse e le Sirene di Positano, Napoli, Edizione Colonnese, 2006.
  4. ^ La Greca, Fernando, La sirena Leucosia, l’isola di Licosa, la Lucania antica. Mito, Storia e risorse del Cilento, Acciaroli (Salerno), Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2010, ISBN 9788890231780.
  5. ^ Salta a:a b Villella, Vincenzo, Scheria, la terra dei Feaci, Lamezia Terme (Catanzaro), Stampa Sud, 2004.
  6. ^ Licofrone di Calcide (III sec. a.C.), Alessandra, vv. 726-730, (da M. Bettini, L. Spina, Il mito delle Sirene, Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino, Einaudi Editore, 2004, ISBN 9788806178048).

Bibliografia

  • Massimo Izzi, Dizionario Illustrato dei Mostri, Roma, Gremese Editore, 1989, ISBN 8876054499.
  • Fernando La Greca, La sirena Leucosia, l’isola di Licosa, la Lucania antica. Mito, storia e risorse del Cilento, Acciaroli (Salerno), Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2010, ISBN 9788890231780.
  • Fausta Genziana Le Piane, Incontri con Medusa, Soveria Mannelli (Catanzaro), Calabria Letteraria Editrice, 2000.
  • Licofrone di Calcide (III sec. a. C.), Alessandra, vv. 726-730 (da M. Bettini, L. Spina, Il mito delle Sirene, Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, Torino, Einaudi Editore, 2007, ISBN 9788806178048).
  • Antonio Parlato, Ulisse e le sirene di Positano, Napoli, Edizione Colonnese, 2006.
  • Vincenzo Villella, Scheria, la terra dei Feaci, Lamezia Terme (Catanzaro), Stampa Sud, 2004.
  • Michele Manfredi-Gigliotti, TEΡENHΩN, Memorie storiche sull’antica città di Terina, Editrice Pungitopo, Messina 1984
  • Michele Manfredi-Gigliotti, TEMHSA-TEMΨA,memorie storiche sull’antica città di Temesa, con particolare riguardo alla individuazione del suo sito, Edizioni Brenner Cosenza 1994.
  • Michele Manfredi-Gigliotti, La mia Calabria, Edizioni Simple, 2010 (Segnalato al Rhegium Julii, 2010).
  • Michele Manfredi-Gigliotti, Λυκόφρων kὰι ώkιναρώs, Licofrone e il fiume Savuto, Ma.Per. Editrice, Campora San Giovanni, 2010.
  • Michele Manfredi-Gigliotti, “Il tempio arcaico di contrada Imbelli- Amantea, frazione Campora San Giovanni, provincia di Cosenza”- Nuove prospettive per l’individuazione dei siti di Temesa e Terina, Lussografica Editrice,Caltanissetta 2015.
  • Michele Manfredi-Gigliotti, L’epitaffio della tomba della sirena Ligea presso Terina,oggi territorio di Nocera Terinese, in Literary n. 6 del 2022.

Voci correlate

Partenope

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La sirena Partenope nella fontana della Sirena, collocata al centro della napoletana piazza Sannazaro.
La sirena Partenope.

(DE)

«So sang Parthenope; mit süßen Schmerzen
Fuhr ihrer Stimme Pfeil zu meinem Herzen.»

(IT)

«Così cantava Partenope, che provava un dolore dolce
La sua voce era una freccia che colpì il mio cuore.»

(Johann Gottfried HerderParthenope, 1796.  Disponibile su Wikisource)

Partenope (in greco antico: Παρθενόπη?; in latino Parthenŏpe) era, nell’antica mitologia greca, una sirena.

Indice

Il mito classico

Secondo Esiodo, era figlia di Forco, mentre altre fonti indicano che fu generata da Acheloo e Terra oppure dalla musa Melpomene.

Secondo la tradizione raccolta nelle Argonautiche orfiche (V secolo d.C.), le tre sirene, Partenope, Ligea e Leucosia, vengono battute nel canto da Orfeo e per la disperazione si buttano in mare, dove vengono trasformate in scogli. Nelle più note Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), la loro morte viene attribuita all’insensibilità di Ulisse alla malia del loro canto.

In origine le tre sirene erano tre fanciulle, ancelle della dea Persefone e vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia). Dopo il rapimento della dea da parte di Ade che la portò nel suo regno per sposarla, le tre fanciulle vennero trasformate in sirene dalla dea Demetra per non aver impedito il rapimento della figlia Persefone. Le tre sirene persa la loro umanità iniziarono ad ammaliare i marinai che passavano lungo la costa vibonese per poi divorarli, fino all’incontro con Ulisse. In tale occasione le sirene non riuscirono nel loro intento e si suicidarono gettandosi in mare per la frustrazione. I loro corpi vengono trasportati dal mare, sicché Ligea finisce a Terina, Leucosia a Posidonia e Partenope alle foci del fiume Sebeto,[1] dove poi i Cumani, con l’espulsione degli oligarchi nell’ambito del clima di stasis (discordia tra fazioni) sotto il tiranno Aristodemo, avrebbero fondato Neapolis.[2]

Partenope e Napoli

Il corpo esanime della sirena sarebbe giunto nel luogo in cui oggi sorge Castel dell’Ovo e proprio lì le sarebbe stata dedicata una corsa con le fiaccole, che ogni anno si compiva in suo onore (le cosiddette Lampadedromie).[3] Il Suida, lessicografo bizantino del decimo secolo, ci fa sapere che a Napoli fu eretta una statua della sirena («Νeapolis, urbs Ιtalie celebris, in qua Parthenopes Sirenis statua collocata est»), ma non spiega se ai suoi tempi detto monumento era ancora esistente.[4]

A Napoli Partenope era venerata come dea protettrice; per esempio, Virgilio utilizzava il suo nome in senso metonimico[5] e, da qui a partire dalla prima età moderna, con storici e cronisti aragonesi e barocchi, la sirena veniva utilizzata come esempio antonomastico della doppiezza della natura dei meridionali o della loro lascivia.[6]

Il cantante Liberato ha intitolato Partenope una delle sette canzoni che ha pubblicato il 9 maggio 2022. La protagonista del video musicale è una sirena.[7]

Note

  1. ^ O. EliaPartenope, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana. URL consultato il 16 ottobre 2017.
  2. ^ L. Cerchiai, Meta ton enchorion men enaumachesan. Neapolis e la seconda battaglia di Cuma, Academia.edu, p. 213.
  3. ^ A. D’Andria, pp. 127-130.
  4. ^ SuidaLexicon, graece et latine, Tomo II, p. 603. Halle e Brunswick, 1705.
  5. ^ VirgilioGeorgiche, IV, 564.
  6. ^ A. D’Andria, pp. 127-142.
  7. ^ Ilaria Urbani, Musica, Liberato canta ancora: ecco il nuovo singolo Partenope, su La Repubblica, 10 maggio 2022. URL consultato l’11 maggio 2022.

Bibliografia

  • Antonio D’Andria, Biografie impossibili. Mito delle origini e valore della “biografia” di Partenope in Giovanni Antonio Summonte, in «Rassegna Storica Lucana», vol. 27, n. 45-46, Venosa, Edizioni Osanna, dicembre 2006-gennaio 2007, pagg. 127-142, SBN IT\ICCU\PBE\0175412.
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