Uranie

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Le uranie sono le ninfe celesti.

Si dividono in:

Ἀλκυονίδες (Alkyonídes)Alcionidininfe figli di Alcione
Ἀστερίαι (Asteríai)Asterieninfe delle stelle
Αὐραίαι (Auraíai)Auree o Auridininfe dell’aria fresca e della brezza
Ἡλιάδες (Hēliádes)Eliadininfe del sole
Ἑσπερίδες (Hesperídes)Esperidininfe del tramonto
Ὑάδες (Hyádes)Iadininfe della pioggia
Νεφέλαι (Nefélai)Nefelee o Nefelidininfe delle nuvole
Πλειάδες (Pleiádes)Pleaidininfe delle costellazioni

Esperidi

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Hans von Marées, “Esperidi (trittico)”, München, Neue Pinakothek

Le Esperidi sono figure della mitologia greca e secondo le leggende custodivano il giardino dei pomi d’oro di Era[1].

Indice

Genealogia

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Le Esperidi erano ninfe la cui genealogia varia a seconda delle versioni, poiché le più antiche le considerano figlie della Notte,[1] e di Erebo, mentre versioni posteriori le fanno figlie di Atlante[2] o di Teti ed Oceano, oppure di Zeus e Temi[3], ma anche di Forco e Ceto[1].

Incerto è anche il loro numero, tanto che alcuni mitografi nominano cinque Esperidi, altri ne nominano sette. Chi sottolinea invece che erano tre, le collega alla triplice dea della Luna nel suo aspetto di sovrana della morte. I numeri riferiti vanno comunque da una ad undici.
I nomi delle Esperidi principali sono: EgleEsperetusa (o Esperia), Aretusa ed Eritea[1][4].

Attività e caratteristiche

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Il giardino delle Esperidi (1892) di Frederick Leighton

Ogni autore le colloca geograficamente nell’estremo Occidente del mondo[1] ed oltre i confini della terra abitata (le colonne d’Ercole), venendo così collegate ai colori del tramonto ed a quando il cielo assume quelli di un melo carico di frutti dorati[1]. In tutti i racconti sono comunque custodi di oggetti magici ed è quindi possibile che le Esperidi siano associate a dei riti segreti e che si tenevano al sopraggiungere della sera.
Anche il canto, insieme con la danza, è una delle caratteristiche a loro assegnate.

Atlante sosteneva la volta del cielo poco distante dalla terra delle figlie, ed Elio, divinità del sole, terminato il suo corso quotidiano, scendeva nel giardino (il sole tramonta infatti ad Occidente) e vi lasciava i cavalli del suo carro a pascolare e con loro riposava lì durante la notte.

Sono spesso associate al drago Ladone che stava costantemente arrotolato attorno al tronco dell’albero dei pomi d’oro.

Vicende mitologiche

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Poco celebre vicenda narra che, strappate alla loro terra insieme con le loro greggi da alcuni pirati agli ordini di Busiride re d’Egitto, le Esperidi furono poi liberate da Eracle, che le restituì al padre Atlante, ottenendo quale ricompensa l’insegnamento dell’astronomia. Eracle compare pure in un altro racconto legato alle Esperidi. Per conquistare le preziose mele come da volontà del re Euristeo, Eracle dovette ricorrere all’aiuto di Atlante, e sostituirlo temporaneamente nel custodire i pilastri del cielo e portare il mondo sulle spalle. Ma il maggiore ostacolo era costituito da Ladone, che custodiva i pomi d’oro per volontà di Era. Non c’è accordo tra i mitografi sul fatto che Eracle abbia dovuto abbattere questa creatura che non chiudeva mai gli occhi, perché alcuni parlano di una consegna ‘pacifica’ dei frutti da parte di Atlante o delle stesse Esperidi.

Si racconta, d’altra parte, che Eracle uccise il serpente scoccando una freccia al di sopra delle mura del giardino costruite da Atlante. Era poté solo attenuare il suo dolore per la morte di Ladone ponendone l’immagine tra gli astri, come costellazione del Serpente; le mele colte da Eracle le vennero poi restituite da Euristeo. Secondo altre fonti, i pomi tornarono invece ad Eracle; questi, a sua volta, li diede ad Afrodite, come vedremo in seguito, oppure ad Atena: la dea decise infine di renderle ad Era, poiché non era corretto che venissero donate a chiunque. Vi è però una triste conclusione: il giorno successivo al compimento dell’impresa di Eracle, nello stesso giardino arrivarono a porre piede gli Argonauti, che assistettero alla trasformazione in alberi (un pioppo nero, un salice e un olmo) delle Esperidi, morte disperate per la perdita del loro tesoro e del loro amato custode-protettore.

I pomi aurei delle Esperidi compaiono pure nel mito di Atalanta, fanciulla velocissima nella corsa che sfidava i suoi pretendenti mettendo sé stessa come premio. Uno di questi corteggiatori era Melanione (o Ippomene) che, chiedendo aiuto ad Afrodite, ricevette dalla dea tre mele d’oro del Giardino delle Esperidi, che a sua volta Eracle le aveva regalato. Mentre si svolgeva la gara, Ippomene lanciò i pomi uno dopo l’altro a terra, così che Atalanta, irresistibilmente attratta, si fermò a raccoglierli perdendo la contesa.

Iconografia

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L’iconografia riguardante le Esperidi è sviluppata maggiormente sul tema di Eracle e le mele d’oro, mentre i soggetti pressoché infrequenti sono quelli del rapimento delle sorelle e la loro metamorfosi in alberi. Le figurazioni più antiche delle Esperidi giunte fino a noi sono quelle sui vasi attici a figure rosse del V secolo a.C., dove peraltro non appaiono molto frequentemente. Meno rare sono invece le rappresentazioni nella ceramica dell’Italia meridionale.

La produzione artistica caratterizzata dal soggetto delle Esperidi è molto scarsa, ma mai del tutto assente, durante il Rinascimento e per l’intero periodo che decorre dal XVII al XVIII secolo.

Soggetto analogo a quello delle Esperidi danzanti e tenentesi per mano è quello delle tre Grazie, la cui fortuna artistica fu tuttavia maggiore.

Le mele d’oro e il serpente Ladone sono gli attributi distintivi delle Esperidi, figurate come graziose fanciulle che il più delle volte compaiono in numero di tre e sono caratterizzate da un’espressione nostalgica. Rappresentate generalmente vestite a differenza delle Grazie, vengono collegate al tramonto e contengono perciò un alone di magico mistero.

Iadi (mitologia)

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Le Iadi (in greco antico: Ὑαδες?Hyades) sono personaggi della mitologia greca. Il loro nome significa “portatrici di pioggia” e sono delle ninfe dei boschi, delle fonti e delle paludi[1].

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Genealogia

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Erano figlie di Atlante e dell’Oceanina Pleione[2](che Ovidio chiama Etra[3]).

Mitologia

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I nomi e quantità delle Iadi variano a seconda dell’autore, Esiodo ed Igino elencano i nomi di cinque sorelle: Pasitoe, Coronide, Ambrosia (o Cleia), Polisso (o Faio) ed Eudora, mentre altre fonti citano solo alcune di esse e spesso con quantità inferiori e con nomi diversi[1].

Avevano un fratello di nome Iante ed alcune storie raccontano che questi morì in una battuta di caccia e che le Iadi piansero la sua morte fino a quando Zeus (compassionato del loro amore) decise di trasformarle nella costellazione delle Iadi e di porle di fronte alla costellazione del Toro[4][5].

Altri miti narrano della loro partecipazione all’educazione di Dioniso[1].

Pleiadi (mitologia)

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Le Pleiadi, opera di Elihu Vedder, 1885

Le Pleiadi (in greco antico: Πλειάδες?Pleiades) sono sette personaggi della mitologia greca, ed i loro nomi sono AlcioneCelenoElettraMaiaMeropeSterope (o Asterope) e Taigete[1]. Nella mitologia sono connesse con l’omonimo ammasso stellare.

Nella mitologia romana corrispondono alle Vergilie.

Simonide cantava di una Maiados oureias dagli amabili occhi neri e poiché erano figlie di Atlante venivano chiamate anche Atlantidi[2].

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Etimologia

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Pleiadi (peleiades) significa “colombe” oppure secondo un’altra versione l’origine del nome è legato al termine “plein” (navigare) e questo perché le stelle venivano utilizzate come riferimento dai naviganti.

Genealogia

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Secondo la maggior parte delle versioni, sono figlie del titano Atlante e dell’oceanina Pleione[1][3], da cui derivano il nome.

Secondo un’altra versione sono invece figlie di una regina delle Amazzoni[4].

Progenie

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Tutte le pleiadi si unirono con dei, ad eccezione della più giovane, Merope, che sposò il mortale Sisifo.

Mitologia

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Merope che abbandona le Pleiadi nell’opera La Pleiade perduta di William-Adolphe Bouguereau, 1884.

Nate sul monte Cillene in Arcadia[1][3], sei di loro erano visibili ed una invisibile. Alcuni autori scrivono che l’invisibile sia Sterope e che questo avvenne per sua vergogna, altri che sia invece Elettra che fu coinvolta nella distruzione della casa di Dardano[6][7].

Ma il discorso dell’invisibilità può riferirsi al fatto che una delle sette stelle delle Pleiadi sia poco visibile rispetto alle altre sei e tra i vari miti esiste anche quello in cui Merope, l’unica ad aver sposato un mortale, per la vergogna decise di allontanarsi dalle altre[8].

Secondo un’altra versione del mito vennero rapite da un egiziano e liberate da Eracle.

Esiste anche una versione in cui erano le compagne vergini di Artemide e dove Orione le inseguì per tutta la terra costringendole a nascondersi nei campi della Beozia fino a quando gli dei, presi dalla compassione, le trasformarono in colombe ed immortalarono in seguito la loro figura nelle stelle. Una volta divenute stelle manifestarono la loro simpatia ad Atreo modificando il loro corso.

Infine, secondo un’ulteriore versione, dopo la morte delle loro sorelle, le Iadi, si uccisero. In tutte le versioni il destino delle Pleiadi è sempre quello di diventare stelle.

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