Scilla (creatura mitologica)

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Scilla (in greco antico: Σκύλλα, Skýlla) è un mostro marino della mitologia greca.

Secondo la versione più comune, Scilla è figlia delle divinità marine Forco e Ceto. Secondo la tradizione riportata dall’Odissea, invece, sua madre è la ninfa Crateide. Altre leggende la dicono nata da Forbate e da Ecate, oppure da quest’ultima e Forco. La si considerava anche figlia di Tifone ed Echidna, oppure di Zeus e di Lamia, a sua volta figlia di Poseidone.

Mito

Glauco e Scilla in un dipinto di Jacques Dumont
Cratere del 450-25 a.C. raffigurante Scilla con tronco di fanciulla (armata di spada), teste di cani feroci in vita e coda di mostro marino, oggi al Museo del Louvre.

Secondo Servio [1]Giovanni Tzetzes, Scilla era una bellissima naiade di cui si sarebbe innamorato Poseidone,  Anfitrite, sposa del dio del mare, la trasformò in un terribile mostro versando una pozione nello specchio d’acqua dove Scilla era solita fare il bagno.

Secondo Igino e Ovidio, in origine Scilla era, invece, una ninfa dagli occhi azzurri, che viveva nell’odierna Calabria era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle o Messana (odierna Messina) e fare il bagno nell’acqua del mare. Una sera, vicino alla spiaggia, vide apparire Glauco, un dio marino metà uomo e metà pesce che un tempo era stato un mortale. Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia. Il dio, vista la reazione della ninfa, dichiarò il suo amore per lei, ma Scilla rifiutò la proposta di Glauco lasciandolo solo nel suo dolore. Glauco si recò dalla maga Circe e le chiese un filtro d’amore per far innamorare la ninfa di lui, ma Circe, desiderando il dio per sé, gli propose di unirsi a lei, Glauco si rifiutò e Circe, furiosa per essere stata respinta al posto di una ninfa, volle vendicarsi. Preparò una pozione malefica e si recò presso la spiaggia di Zancle, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora. Quando Scilla arrivò e s’immerse in acqua per fare un bagno, vide crescere molte altre gambe di forma serpentina accanto alle sue, che nel frattempo erano diventate uguali alle altre. Spaventata fuggì dall’acqua, ma, specchiandosi in essa, si accorse che si era completamente trasformata in un mostro enorme ed altissimo con sei enormi teste di cane lungo il girovita, un busto enorme e delle gambe serpentine lunghissime. Secondo alcuni dalla vita in su manteneva il corpo di una fanciulla, mentre per altri possedeva sei teste serpentine altrettanto mostruose. Per l’orrore Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio vicino alla grotta dove abitava anche Cariddi.

Nel XII libro dell’OdisseaCirce consiglia a Ulisse di navigare più vicino a Scilla, perché Cariddi potrebbe affondare l’intera nave, suggerendogli anche di chiedere a Crateide, madre di Scilla, di impedire alla figlia di balzare sulle navi più di una volta. Ulisse naviga con successo nello stretto, ma quando lui e il suo equipaggio vengono momentaneamente distratti da Cariddi, Scilla cattura sei marinai e li divora vivi.

Note

1

    Bibliografia

    • Omero nell’Odissea, XII, 112
    • Ovidio nei libri XIII-XIV delle Metamorfosi
    • Virgilio nell’Eneide, III

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